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Strana storia quella di Elliot Murphy: negli anni 70 egli è stato uno dei maggiori poeti rock alla pari del suo fraterno amico Bruce Springsteen e di Patti Smith: Ma al contrario del Boss e della vulcanica Patti il nostro non ha mai avuto la gratificazione del pubblico. Le vendite dei suoi dischi, in patria, non sono mai decollate nonostante la critica ne parlasse sempre molto bene. Probabilmente a causa dello scarso successo il nostro decide di emigrare in Europa e fare di Parigi la sua nuova casa. Nel vecchio continente Elliot si costruisce un pubblico fedele e affezionato che lo segue in tutti i suoi numerosissimi concerti. Sempre poco incline alle politiche del music biz il nostro pubblica molti album suonando sempre la sua musica. Questo “String of The Storm” segue questa stessa logica; pubblicare un doppio cd in studio non è certo una scelta che paga a livello di vendite ma a Murphy non interessa: aveva tante cose da dire e per farlo gli servivano tante canzoni. Molto probabilmente questo album non avrà un grande successo commerciale ed è davvero un peccato perché è proprio un bel disco. Le 22 canzoni qui contenute ripercorrono tutti gli amori musicali di Murphy, analizzarle tutte sarebbe arduo per cui vediamo di approfondire quelle che maggiormente mi hanno impressionato: L’iniziale “Green River” è una grande ballata rock con le chitarre acustiche ed elettriche in primo piano, soprattutto quest’ultima ,Olivier Durand, insolitamente dura e acida si fa notare per come doppia la voce del nostro; una melodia malinconica accompagna la voce sofferta di Elliot che poi esplode in un ritornello di grande presa. Rock duro e sofferto, musica di grandissima classe. La successiva “Temple Bar” è una folk song di chiara matrice europea con la fisarmonica a guidare le danze e un bel coro femminile in sottofondo. Murphy canta con voce ispirata. “The Best Kiss” è invece una straordinaria road song con armonica e chitarre acustiche. Splendida melodia e una bella voce femminile (Cindy Bullens) a fare il controcanto. “Le Future” ha insoliti richiami alla musica messicana soprattutto grazie all’uso della acustica e del mandolino in puro stile gitano. Elliot più che cantare parla mettendo in luce la sua grande abilità di storyteller consumato. “From Room 102” è invece dylaniana, basta sentire la voce di Murphy per accorgersene, sempre molto bello l’accompagnamento acustico di fisarmonica, vera protagonista del disco, e della chitarra acustica. Chiudiamo la nostra rassegna con “Red Lights (Ground Zero)” dedicata alla strage del 11 settembre. Presentata come bonus track questa toccante song si segnala come una delle migliori di tutto il disco. Si tratta di una commovente ballata acustica con una meravigliosa armonica in sottofondo che graffia tra un coro e femminile e l’altro come un grido straziante: Poi come si trattasse di un medley la canzone cambia e Murphy alterna il cantato in inglese a quello francese aggiungendo ancora più patos ad una song veramente splendida.
Con Strings of The Styorm Elliot Murphy ci regala un disco di altissimo spessore, tra le 22 canzoni presenti non ce ne è una sola che sia sottotono. L’album non risulta mai monotono o noioso, la grande varietà di suoni e melodie presenti rende l’ascolto del disco sempre piacevole. Ancora un grande disco per il grande cantautore americano. La musica di Elliot Murphy andrebbe riscoperta da tutti perché si tratta di rock di altissima qualità