Morgan – Non al denaro non all'amore nè al cielo

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Voglio subito fugare i dubbi di tutti, se cercate qualcosa di Morgan in questo disco non lo troverete. Marco Castoldi non ha voluto mettere del suo in questo disco del Faber, ma gli ha “soltanto” reso omaggio. Perchè ho messo “soltanto” tra virgolette? Perchè un lavoro di questa portata a livello di arrangiamento e dedizione non può essere liquidato con queste due povere righe. Morgan non ha voluto, di sua volontà, stravolgere il lavoro di De Andrè, come lui stesso ha detto, diciamo che questo lavoro può essere interpretato come un atto egoistico del cantante dei Bluvertigo, cioè ha preso un disco che amava e ama molto e l’ha suonato e cantato a modo suo, non cercando di renderlo diverso, insomma il sogno che in fondo hanno un pò tutti gli artisti, ma l’ha suonato e cantato come avrebbe fatto in una cover band… Certo una cover band di livello stratosferico… una cover band che pagherei oro per vedere! Perché il lavoro che si ode su “Dormono sulla Collina” non è certo da tutti, la citazione dell”Inverno di Vivaldi” non è proprio quello che si può chiamare una semplice “riproduzione”, così come gli innesti di theremin, e di molti altri strumenti particolari che si sentono in tutto il disco. Personalmente adorando l’originale del Faber, non sono riuscito a non emozionarmi anche su questa “riproduzione” di Morgan. Le parole ispirate dall’ “Antologia di Spoon River” sanno emozionare sempre, e bisogna dare atto al Castoldi cantante di averle interpretate molto bene e con cuore, certo lo spessore della voce di De Andrè è impossibile da riprodurre, e sarebbe stato da sciocchi cercare in questo disco la stessa intensità vocale. Il grande merito che do a Morgan a livello “esecutivo” è di aver dato molto più aria a questa opera, rendendola più assimilabile rispetto all’originale. Una delle emozioni che mi provocava l’opera originale del Faber era una certa “angoscia” di fondo che pervadeva tutto il disco, vuoi per il tema principale che era la morte (che poi è ovviamente lo stesso che affronta Morgan), vuoi anche per un’urgenza esecutiva che era palese, e vuoi anche per il periodo nel quale era stato suonato-prodotto. Invece l’emozione che mi provoca questo di Morgan è una certa sensazione pacifica e rilassata, una sorta di gioia nel parlare delle vite altrui anche se moltissime con tragici finali. Insomma sembra che i due abbiano affrontato quest’argomento in modo molto diverso, pur avendolo suonato in definitiva più o meno nello stesso modo. Concludendo un disco consigliato a tutti quelli che hanno pianto durante il testo struggente di “Un Malato di Cuore” e a quelli che si sono emozionati sentendo del “Suonatore Jones” e quelli che hanno riso su “Un Giudice”, qui troveranno un’esecuzione fatta in modo magistrale, con una qualità sonora che ovviamente l’originale non poteva avere, e magari noteranno tante piccolezze che nell’opera originale di De Andrè magari non avevano notato. Lo consiglio anche a chi non conosce la produzione di De Andrè, magari con questa opera dal suono più moderno può avvicinarsi a questo grandissimo poeta e musicista in modo più naturale e meno “traumatico”, e magari dopo questo andarsi ad ascoltare l’originale e poi magari tutta la sua discografia che contiene delle perle che non ci si può permettere di dimenticare. Certo saranno molti che storceranno il naso dicendo: ma che bisogno c’era di una cosa del genere? oppure: da Morgan mi aspettavo qualcosa di più coraggioso. Ma in fondo sarebbero stati gli stessi che avrebbero detto: ma come si permette di stravolgere un’opera così importante? Allora dico: ascoltiamo la musica e lasciamoci emozionare, alla fine è quello che conta per un disco del genere.