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Cosa succede a Marco Parente? Avete presente quei brani belli attivi che questo incredibile cantautore spesso inseriva nei suoi album (“Il posto delle fragole”, “La mia rivoluzione”…)? Ecco, dimenticateveli. Il secondo e ultimo disco che va a completare la serie “Neve ridens” è impegnato, cupo, malinconico, spesso drammatico, lentissimo. Capisco, ascoltandolo, il senso dell’operazione di realizzare due album separati: sono totalmente diversi ed è anche giusto che escano in due momenti separati (una strana felicità autunnale il parte 1, un triste sguardo fuori da una finestra gelata questo nuovo cd). Delle basi ridotte all’osso accompagnano le splendide liriche di Parente per quello che risulta essere un lavoro ostico e complesso per l’ascoltatore, un disco che manca totalmente di orecchiabilità, da ascoltare con estrema attenzione. Spiccano canzoni come “Amore cattivo” (testo semplicissimo e unica vera esplosione sonora dell’album, anche se solo nel finale) e la conclusiva e intensissima “Vita moderna”, ma questo “(Neve) ridens pt.2” colpisce per come riesce ad essere un lavoro unitario e completo. Ammetto che un po’ mi mancano quelle tracce vitali e travolgenti che conquistavano nei dischi precedenti, ma nonostante questo il nuovo album di Parente è un ipnotico viaggio nella sua sensibilità, quaranta minuti di malinconia che trasuda da musica e parole e che va ad affondare i denti nell’animo dell’ascoltatore.