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9 giugno 2015 | cen | sophieaustermusic.com |
Lo confesso: non ho mai letto un libro di Paul Auster. So solo che è uno scrittore di fama mondiale. Beato lui. Ma il caso vuole che qui si recensisca l’opera musicale di sua figlia Sophie. Altrove anche attrice. E dunque, spegnendo i riflettori sul terreno di gioco del padre, accendiamoli su questo “Dogs and Men“, secondo full-lenght dell’artista newyorchese. E chissà che la ragazza non segni un fuori campo.
Spesso, negli articoli riguardanti Sophie Auster, viene evocato lo spettro delle cosiddette “torch songs“. E infatti è un amore tormentato, sfaccettato, irrisolto, a dominare l’orizzonte lirico dell’album. Struggimenti a lume di candela, quindi. Come anche una buona dose d’introspezione. Niente di nuovo sotto il moccolo, verrebbe da dire. Quanto alla vocalità, bisogna ammettere che la ventottenne Sophie, dal punto di vista stilistico, evita molte delle trappole presenti nell’odierna discografia pop. Il suo timbro è caldo, avvolgente. Messo in maschera quanto basta. Sono dunque bandite le consuete pantomime sforzate, ora nasali, ora gutturali, a cui siamo abituati. Specie nel mainstream di casa nostra. Ma non solo.
Le canzoni, purtroppo, sono il vero punto debole. Sia chiaro, parliamo pur sempre di alto artigianato. Ma la sensazione è che la scrittura, nell’affrontare determinati stili, diciamo classici, finisca col sembrare un tantino scolastica. La copia in bella di un compito in classe. Sia pur di un’allieva fra le più dotate del corso.
C’è un po’ di blues, un po’ di country. E anche un po’ di jazz. Per inciso quello che Diane Keaton cantava in “Annie Hall” di Woody Allen. Così, giusto per dare un’idea dell’atmosfera, tralasciando lo stile canoro.
Non per niente i momenti migliori sono quelli che si affrancano dal campionario vintage, tentando vie più sperimentali. Fra gli episodi più riusciti: il groove e la grinta di “Bad Manner”, il pop incline al soul, sempre in bilico fra passato e presente, di “On my way”, e la curiosa struttura di “Bow tie man”.
Alla resa dei conti, “Dogs and Men” vale più come bozza ipotetica. O come messa in mostra delle proprie abilità. Con alcune, va detto, pregevoli eccezioni. E la tavolozza, seppur incompiuta, lascia ben sperare per il quadro che sarà. Ma se c’è una costante paesaggistica, all’interno del dipinto, è proprio la voce di Sophie. Bella, piena, risonante. Ebbra di colori autunnali. Peccato che il disco, nell’insieme, non emozioni più di tanto, risultando a tratti un po’ lezioso. Ma se andate a caccia di talenti, avete fatto centro. Il resto verrà, prima o poi. Per il cuore c’è sempre tempo. O forse no?