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Trovo doveroso fare una premessa, prima di accingermi a recensire “Subterranea”, il doppio album che molti vedono, assieme ad “Ever”, come il capolavoro assoluto della band di Peter Nicholls. Quante volte però abbiamo sentito parlare di “neo-progressive” riferito a loro, quante volte poi si sono fatti paragoni con “The Lamb lies down on Broadway” dei Genesis e con la band di Peter Gabriel in generale. Ma perché?
Non trovo affatto giusto nei confronti di questa band, che da oltre vent’anni ormai continua a deliziare il suo pubblico con dei deliziosi lavori, indubbiamente figli della scena prog degli anni ’70: ricordiamo che i Genesis sopravvissero pochi anni dopo Gabriel e mentre gli IQ negli anni ’80 s’imponevano su una scena non più sugli scudi ma pur sempre dotata di un pubblico sensibile e competente, la band nelle mani di Phil Collins sprecava il suo talento in nome del dio denaro – o forse semplicemente aveva perso la sua vena creativa – dando alle stampe lavori come “Invisible Touch” capaci di far urlare allo scandalo i fan di vecchia data. Ma gli IQ eran lì, nello scomodo ruolo di anello di congiunzione, uno dei pochi, fra il “vecchio” e il nuovo progressive.
Capirete quindi la mia irritazione – è inutile che lo nasconda, trasparirebbe lo stesso in questa recensione – nel veder paragonato un fine lavoro come “Subterranea” a “The Lamb lies down of Broadway”, perché questo accostamento è solo dovuto al fatto che si tratta di due doppi concept, e poi basta. Un pò pochino, sicuramente offensivo nei confronti della band inglese.
Fatta questa breve puntualizzazione, è ora di parlare di “Subterranea”.
L’album ebbe una lunga gestazione: ci vollero due anni circa, fra il 1995 ed il 1997, affinché la band riuscisse a realizzare questo sontuoso concept, che da tempo era nelle loro intenzioni, presentandolo con orgoglio ai fan con un doppio concerto al “The Met” presso Bury il 5 e il 6 settembre 1997. La storia narra di un uomo relegato nel sottosuolo per un esperimento, l’unico legame col resto del mondo è uno strano individuo, il “Provider”, da cui dipende totalmente; a un certo punto, il Provider getta il protagonista nel mondo, dopo lo sgomento iniziale lo conosce, s’innamora di una donna ma la perde e dopo aver scoperto di essere spiato dal Provider cerca di ucciderlo, ma poi decide di tornare nel sottosuolo, che sembra essere una migliore alternativa al “mondo di sopra”. Una storia originale per un album decisamente lungo: i due CD che compongono l’album durano oltre un’ora e mezza – 103 minuti per l’esattezza -, una durata che ha fatto storcere il naso ad alcuni, che ritengono l’album troppo prolisso.
Non è certo il nostro caso, però è bene avvisare il lettore che “Subterranenea” proprio alla luce di questa durata non è un album facile, soprattutto se ancora non conosce gli IQ… anche se a ben vedere sarà ben difficile per gli appassionati di progressive rimanere indifferenti alle magiche melodie che ci colpiscono già nell’introduzione del disco, la strumentale sinfonica “Overture”, un fantastico esempio di come coniugare maestosità e delicatezza di suoni, con le tastiere di Martin Orford sugli scudi con un “tappeto melodico” eccezionale, che già fa ben sperare per il resto dell’album.
Nella breve “Provider” Peter con la sua voce ci introduce la vicenda e il pezzo sfuma gradatamente nella title-track “Subterranea”, un pezzo ritmato – grazie al bel giro di basso di John Jovitt – e decisamente godibile, sicuramente uno dei migliori presentati nell’intero album. La cupa “Sleepless incidental”, con le sue melodie tastieristiche in contrasto coi cupi riff di chitarra e basso, bene esprime la sensazione di smarrimento dell’eroe della vicenda entrato in contatto col mondo, mentre i nove minuti di “Failsafe” in alcuni tratti tastieristici non possono effettivamente non farci ripensare ai vecchi, migliori Genesis, la cui lezione però è stata assimilata ed evoluta con molta personalità dalla band conterranea.
Di “Speak my name”, romantica ballata per voce e tastiere, possiamo dire semplicemente che dura troppo poco, Steve Nicholls qui ci regala tre minuti e mezzo di puro sentimento impreziositi da una soave chitarra acustica nella seconda metà del pezzo; assolutamente da sentire.
Le musiche s’induriscono subito dopo in un efficace contrasto che tuttavia non rinuncia alla componente melodica, prima con una “Tunnel Vision” sublime per il modo con cui alterna momenti cupi ad altri più luminosi, poi con una “Infernal Chorus” il cui inizio angelico conferisce ulteriore enfasi al sound elegantemente sulfureo delle tastiere “a mò di organo” della seconda parte del brano, intonato da un Nicholls qui assai ambiguo e sinistro. Dopo il breve, nerissimo intermezzo intitolato “King of Fools”, in cui Peter ancora risulta efficace col suo cantato, dando voce a un eroe candido in mezzo a un mondo malvagio bene espresso dalle musiche.
Con “The Sense in Sanity” e la strumentale “State of mine” si chiude il primo CD con un apparente senso di pace, ma la storia è ancora ben lungi dal concludersi. L’introduzione alla seconda metà dell’album si ha con “Laid Low”, pezzo per chitarra e pianoforte che, pur nelal sua melodicità, preannuncia un ulteriore incupirsi della vicenda, come constatiamo già di seguito con l’amara “Breathtaker”; l’ottima “Capricorn”, con le sue vaghe influenze AOR e il raffinato sax del guest Tony Wright, avrebbe potuto benissimo essere un single di successo. L’eterea “The Other Side” fa da preludio alla frenetica “Unsolid ground”; ottima ancora “Somewhere in time”, capace di spaziare da un intro per chitarra acustica e flauto a un proseguimento con chitarre praticamente heavy metal. La breve “High Waters” introduce alla conclusione della vicenda, rappresentata dall’ampia “The Narrow Margin”, lungo pezzo di venti minuti esatti che ci narra la conclusione cinematografica della vicenda col frenetico ritorno del nostro eroe nel “suo” mondo sotterraneo.
Si chiude così un concept a nostro avviso perfetto, capace di narrarci una storia intensa e coinvolgente con delle musiche perfette, fortemente emotive – caratteristica fondamentale degli IQ questa – e sempre perfettamente adeguate alla vicenda. “Subterranea” è semplicemente perfetto, curato in ogni minimo aspetto incluso il bell’artwork di Tony Lythgoe con immagini a tema per ogni pezzo presentato, a dimostrare come anche la componente visuale sia fondamentale nell’arte del gruppo albionico.
Un album che non potrà certo deludere gli amanti del progressive e per chi fosse alla ricerca di musica puramente emotiva, capace di mettere i brividi. E basta paragoni coi Genesis per cortesia, gli IQ sono ormai un’altra storia e meritano di essere conosciuti per le loro fantastiche creazioni, non per paragoni scomodi.