Little Feat – Kickin' It at the Barn

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Quello dei Little Feat è un nome importante, esso richiama alla mente grandi capolavori del passato come “Dixie Chicken”, “Sailin’ Shoes” o il monumentale live “Waiting For Columbus”; dischi che hanno segnato indelebilmente una delle pagine più gloriose della storia del rock, quella del southern rock e delle grandi jam band. Ma soprattutto il nome Little Feat è associato a quello del suo grande e mai troppo compianto leader il geniale Lowell George: dopo la sua morte, avvenuta nel 1979, i rimanenti Feat hanno continuato l’attività musicale ma non sono mai più stati in grado di ripetere i fasti del passato. E’ una storia vecchia questa, quando ad una grande band viene a mancare il leader il giocattolo si rompe e nel migliore dei casi ci ritroviamo con un manipolo di musicisti che non fanno altro che riciclare se stessi. Dire che ai Little Feat questo non è successo sarebbe negare l’evidenza, è però vero che essi, al contrario di molti altri, di album davvero brutti non ne hanno mai fatti: i dischi del dopo Lowell George si attestano tutti tra il sufficiente e il buono ma in oltre 20 anni la band losangelina non è mai stata capace di regalarci un grande disco. La cosa è abbastanza inspiegabile perché se da un lato è vero che un genio del calibro di Lowell non è rimpiazzabile, dall’altro c’è un gruppo di grandi musicisti che erano certamente più che dei semplici comprimari. Tutto questo fino ad ora perché questo “Kickin’ It at the Barn” è davvero un gran bel disco, senza ombra di dubbio il migliore dalla scomparsa del leader. Un album che spazia tra suoni tipicamente southern e melodie mariachi con quel tocco di improvvisazione tipico dei migliori Little Feat. Finalmente dopo tanto, forse troppo, tempo i nostri ritornano geniali ed imprevedibili come negli anni d’oro. Proprio l’imprevedibilità è la chiave della buona, anzi ottima, riuscita dell’album. Le canzoni non sono mia scontate, ti aspetti un assolo di chitarra e te ne ritrovi uno di piano, immagini che ad un certo punto entri l’organo ed invece arriva una fulminante slide: Senza contare poi la forma vera e propria delle canzoni che muta di continuo. Un brano inizia funky e poi diventa una ballata southern, un altro ha una chiara impronta jazz ed invece poi svisa verso suoni orientali. E’ così che si suona e soprattutto è così vogliamo sentire suonare i Little Feat! Ma vediamole più da vicino queste 11 canzoni che compongono “Kickin’ It at the Barn”: si parte con “Night on the Town” che si apre in tipico stile southern con la slide e il piano in grande evidenza ma poi entrano il dobro, il mandolino, il violino (splendido) e il coro femminile che portano la canzone sulla via di New Orleans in una festa di suoni e colori dal ritmo irresistibile dove spicca il solito favoloso lavoro pianistico di Bill Payne, da sempre colonna portante della band. La successiva “Heaven Forsaken” è una godibilissima ballata r&b dai forti tratti sudisti, ma la vera gemma di tutto l’album è la successiva “Corazones y Sombras”: parte lenta quasi fosse una ballata tex mex poi esplode in una travolgente festa mariachi dove spiccano al fisarmonica e la chitarra acustica, poi la song rallenta ancora e riprende i tratti della ballata. Poco più di un minuto e vi con una nuova accelerazione e avanti così per tutti gli 8 incredibili minuti in cui le voci di Shaun Murphy, Barrère e quella di Gabriel Gonzales (ospite assieme a Sergio Alonso e Jesus Guzman) si alternano di continuo prima della favolosa coda strumentali dove fa la sua apparizione la suggestiva arpa di Alonso che introduce l’ingresso di una vera e propria banda di paese messicana. Canzone favolosa, una sorpresa continua! Si prosegue con “Walking as Two” un bel lento dai richiami bluesy di grande forza; spicca il solito favoloso lavoro pianistico di Payne che si esibisce una emozionante jam strumentale dettando alla grande con la chitarra acustica. e la bella prova vocale di Barrère che si dimostra cantante molto valido. “In a Town Like This” è caratterizzata dal grande lavoro dell’organo che sembra portarla verso lidi psichedelici ma poi entra la slide elettrica con tanto di feedback che riporta la song verso un sound decisamente più southern. “Fighting the Mosquito Wars” è una grandiosa ballata tra country e folk con un favoloso lavoro di chitarre acustiche ed elettriche e una stupefacente esibizione canora di Barrère, questa song è uno splendido esempio dell’imprevedibilità della band: dopo circa 3 minuti ti aspetti un assolo di chitarra elettrica, come nella maggior parte delle ballate, invece ne arriva uno di acustica sorretto solo dalle percussioni dai forti richiami tribali!! Il secondo momento topico del disco è la chilometrica strumentale “Stomp” Inizia con un ritmo quasi funky e poi esplode in una strepitosa jam, sembra di sentire i migliori Dead quando si lasciavano andare e partivano per territori proibiti a chiunque altro. L’organo, il piano e la chitarra si alternano di in favolosi assoli senza fine andando di continuo a richiamare la bella melodia centrale. Straordinaria a dir poco!!! Si prosegue con “Why Don’t It Look Like the Way That It…” che si apre con l’arpa e la chitarra acustica , poi entrano il piano mazzata e la tromba a richiamare ancora gli amati suoni di New Orleans, ancora una grande canzone. Dopo la bella ” I Do What the Telephone Tells Me to Do” in cui spicca l’organo di matrice psichedelica il disco si chiude con “Bill’s River Blues” una favolosa ballata acustica di quelle che arrivano dirette al cuore dell’ascoltatore.
Lowell George non c’è più, gli anni ’70 sono passati da un pezzo e con essi anche l’età d’oro del rock; ma proprio quando avevamo smesso di sperare i Little Feat sono tornati. Finalmente ispirati come ai bei tempi. In “Kickin’ It at the Barn” non c’è una sola canzone brutta, anzi sono tutte decisamente sopra la media con almeno 3 perle di rarissima bellezza.