Waits, Tom – Real Gone

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Diavolaccio di un Tom Waits! Mi aveva quasi fatto preoccupare con il lancio di Alice e Blood Mooney, due album certamente belli, ma che nulla aggiungevano alla sua discografia dopo le meravigliose pazzie sonore di Mule Variation. Lo ammetto, per un attimo ho pensato che “l’uomo col cappello” si fosse “seduto”, accontentandosi di quello che già aveva fatto e rinunciando alla sua innata voglia di sorprendere, sperimentare e stupire; per fortuna non è stato così: basta dare un ascolto a “Real Gone” per capire che Tom ancora una volta ha spiazzato tutti. Gli ultimi due album sono stati solo una tappa intermedia per colmare i 5 anni di silenzio, ma il vero percorso del nuovo Waits non passa da loro, collega direttamente Mule a Real Gone attraverso quel filo di sana e geniale follia sonora che parte dai capolavori “Swordfish Trombones” e “Bone Machine”. E’ certamente un percorso accidentato questo ma incredibilmente affascinante: il vecchio Tom Waits, il ballader notturno e jazzato ( anche se l’amore per il jazz è sempre presente e si fa notare soprattutto in certe linee di basso acustico) che avevamo amato negli anni 70 non esiste più, o meglio non esiste nella forma in cui lo ricordano i fan degli esordi, ha lasciato spazio ad un artista sempre in cerca di nuove soluzioni, che sposta la sua musica su territori solo all’apparenza ostici ma che sono in grado di creare canzoni, e perciò album, che durano nel tempo.
Waits è da sempre un artista in grado di rompere gli schemi per crearne poi di nuovi, il suo rumorismo, quel caos sonoro che si avverte quando non si è molto avvezzi alla sua arte, è solo apparentemente caotico; in realtà nasconde una sua logica ben precisa che si scopre col tempo ma che una volta venuta alla luce ci mostra un artista in grado di sorprendere e conquistare come pochi altri.
La sua è una musica fuori dagli schemi,un sound che spacca i recinti del canonico come una scheggia impazzita che tocca e trafigge stili e generi diversi, unendo ciò che sembra agli antipodi con il suo delirio di growl orchesco, il quale una volta che ti entra in testa non riesci più a farne a meno. Per “Real Gone” vale la stessa regola: l’ho sentito la prima volta e ho fatto fatica ad apprezzarlo, ma conosco il nostro e la sua musica e so che bisogna dargli tempo, poi ti ricompensa con album che diventano una sorta di “droga”. Infatti ho aspettato qualche giorno e l’ho sentito di nuovo, sempre a piccole dosi e poi piano piano sempre più spesso; ora ce l’ho in loop da una settimana e ci resterà ancora a lungo. Mule Variations era un album dalle forti tinte blues e Real Gone ne segue le orme; certo il blues secondo Waits e perciò non aspettatevi le canoniche 12 battute, è lo spirito del disco ad essere fortemente influenzato dalla musica del diavolo, diciamo che il blues è l’ingrediente base del suo “cubist funk” (termine inventato da Waits stesso) che racchiude anche elementi di musica caraibica, africana (nelle percussioni) e hip-hop (l’uso dello scratch). Ma la vera novità è che per la prima volta “l’uomo col cappello” rinuncia al pianoforte, da sempre suo strumento principale. Ad accompagnarlo in questo suo nuovo folle viaggio sonoro c’è un manipolo di musicisti fidati e di grande valore: al basso si alternano due schizoidi come Les Claypool e Larry Taylor (che suona anche la chitarra) mentre la 6 corde è a cura di Marc Ribot (una garanzia) e le percussioni sono ad opera dei figli di Tom cioè Casey e Brain. Come dicevamo all’inizio “Real Gone” si colloca nello stesso filone degli ultimi lavori del cantautore californiano (Alice e Blood Mooney esclusi ovviamente) ma da anche uno sguardo indietro: Waits sa reinventarsi, nel disco ci sono moltissime ballate fatte però con lo stile attuale, dando così vita ad un riuscitissimo collegamente tra il vecchio e il nuovo; è come se il nostro fosse andato a riprendere alcune cose del passato riguardandole con il suo occhio attuale. Il delirio parte con l’iniziale “Top Of The Hill”: Waits sembra rappare su una base di scratch e di bassi hip-hop che richiamano un ritmo leggermente funk a cui si aggiunge poi un kazoo solo apparentemente messo lì a caso. Questa song è una vera dichiarazione di intenti: “attenzione questa è splendida follia sonora”. “Hoist That Rag” è una vera gemma, ha un’anima latina evidente nell’uso delle percussioni, ma un cuore da ballata jazz. Tom alterna il suo celebre growl a una cantato più “normale” sostenuto da una seducente chitarra elettrica che si divide tra blues e Messico. Detto così può sembrare una cosa assurda ma dopo qualche ascolto non potrete più fare a meno di questa meraviglia ve lo assicuro. “Sins Of My Father” è un meraviglioso talking blues con una spruzzatina di sound latino nelle percussioni e un richiamo jazzato nelle linee di basso che creano una atmosfera notturna e fumosa, quasi surreale nella sua sensualità. Già ci stavamo facendo cullare da tanta soave e dolce atmosfera che come un pugno nello stomaco arriva “Shake It” un industrial blues condito dal growl leggermente filtrato di Waits, straordinario e imprevedibile come solo lui sa essere.” Don’t Go Into That Barn” è un classico nello stile del nostro una sorta di ballata blues sgangherata , tenuta assieme con il nastro adesivo, se avete amato le atmosfere di Mule allora gioite. “How’s It Gonna End” è ancora una ballad ma questa volta molto jazzata, il basso acustico detta il tempo mentre Tom racconta una storia di disperazione quasi sottovoce, sembra “Frankie Wild Years” ma un pelino più melodica, saranno le percussioni che richiamano sempre più spesso il sound latino, sicuramente ne ha lo stesso enorme fascino. Al giorno d’oggi sono davvero in pochi a saper fare canzoni di questo spessore. Il filo conduttore del disco inizia a svelarsi lentamente, ad una ballata segue un brano schizoide e delirante e così ora è la volta di “Metropolitan Glide”, suoni caotici e sguaiati, malati e stralunati, scratch, inserti rumoristici vari, la chitarra che appare e scompare dietro alle percussioni e una risata infernale. Insentibile? No assolutamente geniale!! Nuovo giro (o girone infernale?) nuova ballata: “Dead And Lovely” è notturna, oscura, fumosa , meravigliosa.
A questo punto ci si aspetta una nuova scheggia sonora e invece arriva “Circus”, una sorta di talking, una filastrocca nera e inquietante, con le “patatine” e la tromba in sottofondo, tutta da ascoltare. “Trampled Rose” è lenta, con una chitarrina folk e una melodia eterea mentre “Green Grass” è sempre più notturna ma stavolta non è una ballata, sembra più una ninna nanna ricca di dolcezza, si avete capito bene dolcezza, con quel fischio lento e ipnotico che ti avvolge come una coperta calda. “Baby Gonna Leave Me” invece arriva come la sveglia del mattino e ti riporta bruscamente, violentemente alla realtà industrial pazzoide dello strano mondo dominato dall’”uomo col cappello” e l’incubo prosegue e si ingigantisce con “Clang Boom Steam”. Waits sembra un diavolo che spara fuoco e fiamme dai polmoni, un diavolo che poi indossa uno smoking sgualcito e polveroso e si mette a cantare un meraviglioso e seducente blues come “Make It Rain”. Siamo quasi giunti alla fine del viaggio e Tom ci stupisce ancora con una ballata come non ne sentivo da tempo: “Day After Tomorrow” potrebbe essere tranquillamente la sua “Christmas in Whashington” tale e tanta è la bellezza di questa canzone che parla di guerra fino a commuovere. Il disco dovrebbe essere finito ma c’è una ghost track, meno di un minuto di delirio sonoro per chiudere in bellezza.
“Real Gone” è un disco veramente super, non raggiunge le vette di “Swordfish Trombones” o di “Mule Variation”, ma si attesta su livelli di assoluta eccellenza, con canzoni davvero splendide che ci consegnano un artista in ottima forma; un musicista mai domo, sempre alla ricerca di nuove soluzioni. Certamente “Real Gone” è un disco che si farà ricordare a lungo. Ben tornato Tom.