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Gli Air sono sempre in bilico tra passato e futuro, un presente tutto loro, sempre nel confine tra l’onirico e il reale, tra il kitch e certe sparate di classe. Ascoltando il nuovo lavoro di questo duo parigino si ha sempre l’impressione che la musica venga da qualche altra luogo: è troppo sfuggevole, troppo eterea, sembra non far parte di quest’epoca, come sembra non far parte di qualunque epoca. C’è la sensazione di tuffarsi in qualcosa di reale ma allo stesso tempo indefinibile, qualcosa che esiste ma che non è come ci si presenta. Benché questo disco giochi troppo sull’effetto patina di certa elettronica anni ‘70 (Jean-Michel Jarre su tutti) l’uso del moog e dei sintetizzatori danno l’impressione di una Parigi osservata da dietro un vetro che potrebbe essere un bar come una navicella spaziale; le voci sembrano femminili, ma in realtà non lo sono: “non è un effetto di studio” dicono “è dovuto al fatto che siamo estremamente in contatto con la nostra parte femminile che si manifesta principalmente mentre cantiamo, rialzando la nostra tonalità naturale. L’intero progetto Air ha molto a che fare con l’entrare in contatto con la parte femminile.”
Più delicato, quindi: Venus è un pezzo similpsichedelico, Cherry Blossom Girl è un bicchiere di champagne impastato con lo zucchero, Run è una corsa sulla superficie lunare, una lotta contro la gravità scandita da intrecci vocali in loop dal sapore settantiano. Alone in Kyoto, pezzo struggente e maliconico che ricorda a tratti le atmosfere di ‘Moon Safari’.
Onestamente si ha l’impressione che dopotutto si tiri un po’ troppo la corda. Ma per ora ci piace ricordarli come “i Kratfwerk affogati nello sciroppo di fragole”.