Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: |
2008 | Jagjaguwar | blackmountainarmy.com |
Non riusciamo ad abbandonare proprio nulla in questo secolo che se n’è andato! Terrorizzati dalla prospettiva di una memoria a portata di Web, abbiamo passato quasi tutta la prima decade a rovistare fra gli scatoloni delle soffitta per salvare il salvabile: come si dovesse partire da un momento all’altro per la famigerata Isola deserta.
Non c’è troppo pericolo di confondere i Black Mountain con i tanti gruppettini dediti al revival per motivi di moda e attitudine, non foss’altro per l’aspetto dei vancouveriani: neo-eremiti dalla barba lunga che sembrano sul serio aver passato gli ultimi vent’anni su una Montagna a riassettare le proprie collezioni di dischi (… pardon, vinili!) per poi scendere a valle ed orgogliosamente servirci il loro lavoro.
E il risultato è uno dei più mirabili pentoloni ci siano mai stati rifilati negli ultimi dieci anni, in grado di fare incrociare sentieri e pezzi d’universo che mai altrimenti si sarebbero avvicinati. A giustificare tutte le volte che incontrerete le parole “sessanta” e “settanta” in questa ed altre recensioni dello stesso disco non basterebbe da solo il riffettone Hard Rock sbattuto in prima pagina di Stormy High. C’è pure Angels, un lascivo esercizio di stile Stones che, in pochi minuti, sposta di un decennio esatto il cursore delle coordinate temporali.
Ma è Tyrants, terza in scaletta, a dimostrare di quanta roba siano capaci di assortire i Black Mountain in appena otto minuti: l’assolo che sembrerebbe ricalcare nota dopo nota un altro dei galoppanti brani sabbathici (con tanto di imprecisioni di registrazione al carico!) in realtà non fa che aprire il sipario a qualcosa di completamente diverso: nella quiete dopo la tempesta, la voce di Stephen Mc Bean prende quota e va ad intrecciarsi con quella di madama Webber, non troppo distante per estensione e potenza vocali dalle big mamas dell’energico soul nero.
Profondamente Sessanta, una parentesi di bellezza struggente chiusa da un altro temporale elettrico: e da qui in giù tutto quanto sarà concesso. Richiami agli organi gotici e alle tastiere Prog (settanta) alle atmosfere psichedeliche (sessanta) piuttosto che al Folk appena umettato di acidi lisergici di Stay free (ancora sessanta).
C’è già chi li ha ribattezzati la nuova frontiera del rumore bianco, ma in casi come questo il concetto di “novità” andrebbe dosato con il contagocce: se a vincere la gara è chi ha la collezione più scintillante, allora quel poco di davvero nuovo non starà nelle idee in sé ma piuttosto nel come si riesce a miscelarle: in questo frangente i canadesi hanno dimostrato di essere dei coerenti selezionatori, con la cura necessaria a far stare dentro tutto senza mai farla fuori dal vaso. Chissà che, in the future, dalla sintesi del loro ricettario non possa nascere qualcosa di veramente innovativo.