Viviamo in un paese di vecchiacci, questo già lo sapevamo, basta guardarsi intorno. Colpa un pò di una situazione demografica non così fertile, ormai solo l’estinzione può levarci di torno certi dinosauri mediatici o politici, per cui accolgo ogni lutto importante un pò come una liberazione – ahhh e pure questo se lo semo tolto dalle p….
Intendiamoci, non è un invito ad ammazzare la vecchia col flit, ma se mai vi dovesse capitare di pagare il biglietto per un concerto degli Zen Circus e poi beccarsi per metà set-list Nada che canta i suoi intramontabili evergreen come nelle migliori pensioni della riviera romagnola, forse dovreste strisciarvi in testa il pensiero che i giovani d’oggi sono a forte rischio di sottomissione psicologica verso un sistema di valori e cultura vecchio come il cucco (e ridatemi indietro i soldi del biglietto). Purtroppo la cosa si riflette anche nella musica, e non vi sto parlando dello scontatissimo festival dei pensionati di Sanremo, io parlo di gente come Morgan che spaccava i culi ai passeri con i Bluvertigo, adesso invece si dà al riciclaggio musicale di “Italian Songbook vol. 1” ri-suonando Gino Paoli. Stateve accuorti, che dal fare i rocker che si buttano dal palco alla serata del liscio di Lido di Cervia il passo è breve, forse già il vostro culo è geneticamente portato a finire là.
Fra le mani oggi mi sono capitati i Nokeys di Parma, a vedere dalle foto una band dal look un pò demodè e anni ’80 alla The Joshua Tree. Mi pare di capire dal press kit allegato al disco, The Regency, di essere una band dalle sonorità oscure con riferimenti come Depeche Mode e Joy Division. ….mmmmmmnah! Le orecchie mi dicono che questa è una mezza verità. E’ sicuro che i primi ci siano eccome (così come la voce del cantante ha un timbro molto simile) ma è anche vero che tutta questa oscurità è a episodi alternati. I brani in inglese sono aderenti a questa descrizione – anche se azzarderei un certo sapore new romantic: sicuri di non essere più debitori ad Ultravox che a Ian Curtis? – ma quelli in italiano come “Dolore Dolcissimo” al massimo si avvicinano allo stile Subsonica e nulla più (cantati alla Francesco Bianconi). Quindi non così oscuri come si descrivono, in generale anche la scelta dei suoni è virata verso un ascolto decisamente radiofonico ma questa non è certo una colpa, anzi, si lascia ascoltare bene. Troppo tempo invece devo aspettare per poter ascoltare i due pezzi migliori del cd, “Another Step” e “The Lads”, al quinto ed ottavo posto della scaletta, il primo perchè è il migliore riuscito per produzione (molto debitore ai Depeche di “Only when I lose myself”), il secondo perchè risulta il più trascinante e con la migliore tensione emotiva. La sensazione che ho avuto in altri pezzi come “Pretty Girl” è invece un songwriting un pò prevedibile e non ficcante. Niente sorprese in questo album che ha l’aspirazione di un’opera minore.
Rimaniamo ai confini del synth pop anno ’80 con The SuperEgos da Udine, progetto di uno sbarbatello 20enne che alla seconda uscita, chiamata Afterglow, snocciola 4 brani più un reprise. Sembra che il genere stia avendo adesso i suoi rigurgiti (penso ad Empire of the sun, Owl City, La Roux) e le sonorità proposte sono affascinanti e coccolano l’orecchio dell’ascoltatore. Atmosfere anche dream pop, un ep da ascoltare la domenica mattina sdraiati e sonnacchiosi in un parco con l’erba un pò umidiccia. Peccato solo che i brani non abbiano propriamente un scrittura in sè stessa, a volte le tracce si limitano semplicemente ad essere dei tappeti senza una vera progressione all’interno. Comunque già è un’ottima partenza questa e le sonorità sono più che azzeccate e con il giusto mood è un disco in cui perdersi dentro, ma sicuramente a livello compositivo si può fare di più.
…ed alla fine arrivano i metallari. Non c’è nulla da fare, ogni volta che ascolto un cd del genere mi è chiaro che l’eccellenza riguardo alla produzione artistica ce l’hanno sempre loro, il metal e le sue derivazioni sono la vera musica d’esportazione italiana. Questo “Feed on Me” dei bergamaschi Hypnotic Hysteria, band stoner e post-grunge, mi fa urlare una parola sola: Deftones! Debitori a questi ma anche alla scena che ha visto Faith no More e Therapy? o i più recenti Godsmack o SOAD, punto di forza di questa band è decisamente il cantante, uno di quelli che fa la differenza fra una band buona ed una che spacca il culo nel suo ambiente, voce piena, potente, profonda, il ragazzo dimostra di avere due polmoni così ed anche una buona dose di talento. La parte compositiva è altrettanto efficace e potente e non fa pesare per niente la durata dei brani che non è mai sotto i 5 minuti, ma ogni variazione ha un suo perchè e le progressioni all’interno delle canzoni sono da manuale, che indica non solo bravura, ama anche un notevole gusto musicale, che non li rende dei semplici followers del genere, ma in potenza una band che può creare qualcosa di più.. “Feed on me” la titletrack è il brano con il miglior lavoro di chitarra e definitivamente la killer track di tutto il cd, “New Dehli” invece mi provoca riminiscenze alla White Pony dei Deftones. Spero per loro nella classica fuga di cervelli all’estero, perchè come band qua in Italia, con sta scena stitica che ci ritroviamo, sarebbero una band davvero sprecata.