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15 marzo 2011 | Mute Records | joshtpearson.co.uk |
“Che bella la tristezza, dei giusti la ricchezza” (Nina Berberova). A dieci anni dall’addio ai Lift to Experience cosa ci fa lo scompigliato Josh T. Pearson appeso alle note di violino drogato di Warren Ellis? Una rimpatriata dentro un chiloom sacrificale o una fredda ammirazione nello sfoggiare chi più “sweet nichilism” ha da vendere a rialzo? La seconda domanda è quella che si potrebbe avvicinare di più a questo personaggio texano, il Josh T. Pearson che, riprendendo in mano la sua chitarra depressa, ristabilisce un contatto privilegiato con gli spettri, gli scheletri e le morti apparenti del suo IO e gli dà appuntamento dentro questo suo primo disco “Last of the country gentleman”. Un soffio magro ed un cuore grande che raccontano i rimasugli di un’anima a brandelli, di miseri resti di pensiero che fanno spola tra Hank Williams ed i figli reietti delle generazioni dell’alt-tormento.
Un disco difficile, dalla bellezza scostante di una medusa, armonico per tutti ed irritante per chi non ha la pazienza umana di farsi grattare la pelle da queste tracce solitarie, misogine, che urlano forte nel silenzio tutte le istanze esistenziali di Roy Harper, Drake, Phil Ochs, la stretta parentalità dei due Buckley, o la personalità sigillata di un Cohen; e Pearson che si lecca in un angolo le sue ferite, rilasciando lunghe e sensibili ballate piene d’intercapedini e anfratti, in cui in precedenza ha nascosto se stesso e a cui ora sente il bisogno di dare aria, e fare piazza pulita delle concrezioni di cui sono ricoperte.
Certo il suo è un mondo ostico, di non facile appiglio, nudo e spellato da ogni consueta forma-canzone, ma che dona il contrasto assoluto d’amore/odio, accetto/rigetto. Più che ballate, valvole aperte su cui sfiatano lamenti profondi e una chitarra persa “Thou art loosed”, “Country dumb”, “Last Of The Country Gentlemen”, aperture celestiali di confessioni soul “Drive her out” e l’arpeggio confidenziale che suona come una rivelazione “Sorry with a song”; queste otto tracce sono una specie di seduta spiritica per richiamare in vita i desolati, i dispersi e aridi eroi di una controcultura schiva, gli stessi eroi bisognosi che appartengono all’artista Texano da sempre; e come sempre, il suo modo verboso di raccontarli allontana i più, ma per chi è forte e ama una certa estetica looner-alt-folk questo è un album da carati. Se poi adulate Stranded Horse, Tiny Vipers o Mark Kozelek lo berrete tutto d’un fiato, a gozzo profondo!