Abbiamo seguito la quindicesima edizione dell’Exit Festival e questo è quello che avremmo voluto sapere prima di partire per questa particolare e interessante esperienza di formazione. Una guida che racchiude anche un mondo, quello dell’Exit Festival, fatto di musica, campeggio, tirate fino a tardi, chilometri a piedi e bagni chimici.
– Di Ida Stamile e Sara Manini
Main Stage
10 luglio – Stromae ha sorpreso per la scenografia imponente, minimal e optical, con i suoi giochi di luce, ma ricca di dettagli e accortezze. La verve del cantautore francese ha esaltato la mise en scene dell’intero live, con quel suo stile dinoccolato e il look da electro dandy degli anni Zero. Tattica che non ha funzionato per i Pet Shop Boys: richiami tribali, visioni glitch e allo stesso tempo kitsch, hanno esasperato la ben nota pacchianeria dell’attitudine musicale della band. Dalle strade di tutto il Mondo al Main Stage dell’Exit Festival, Dub FX ha interrotto l’andazzo della serata presentandosi in solitaria sul palco assieme ai suoi “marchingegni elettronici”, stagliandosi contro un mega schermo col suo mix di hip hop, drum and bass e spolverate reggae. Coadiuvato da due musicisti, lo street perfomer ha coinvolto i presenti in maniera più che interattiva comandando azioni e intenti collettivi.
11 luglio – Nella giornata più funestata dal maltempo, la mancanza di gruppi veramente incisivi ha peggiorato la criticità della situazione. Un Main Stage dominato da Gloria Gaynor e dal suo baldacchino disco revival seguito dall’accozzaglia drum and bass dei Rudimental ha reso ancor più difficile affrontare nel fango gli spostamenti tra un’area e l’altra del festival. Sul palco grande sfoggio di lustrini e paillettes, in platea solo tentativi di entusiasmo e movimento.
12 luglio – Il carosello musicale dei 2Cellos ha aperto il weekend festivaliero suscitando perplessità con le loro esecuzioni in chiave classica di pietre miliari pop/rock. Senza dubbio la bravura tecnica c’è stata, ma veder scimmiottare Angus Young con un violoncello in braccio non è esattamente il massimo a livello visivo; il duo ha comunque il suo seguito. A degna conclusione della bella giornata di sole è arrivata l’esibizione di Damon Albarn con una scenografia sormontata dall’immagine di un eptagramma esoterico (emblema per eccellenza dell’Amore Divino che supera qualunque ostacolo): l’ex Blur ha infuocato la platea accostando ai brani più tranquilli dell’ultimo album solista anche pezzi delle sue formazioni precedenti. Il picco è arrivato con Clint Eastwood, ma anche la versione chitarra/voce di Hostiles e il finale corale con Heavy Seas Of Love hanno impreziosito il live. Tutto è stato oggettivamente impeccabile: dando per scontato la perfezione artistica (e non solo) di Damon, una nota di merito va anche alla band, composta da musicisti unici e inconfondibili. L’affetto del pubblico è stato ricambiato frequentemente da Damon che si è affacciato a più riprese sulle prime file. La notte ha portato con sé le devastanti allucinazioni sonore e visive di Skrillex che ha fatto tremare tutta l’area del Main Stage tra fuochi d’artificio e laser multicolore. Il suono si è rivelato potente, i bassi pompati fino all’inverosimile, mentre Skrillex ha fomentato a più riprese il folto pubblico e le contorsioni sonore si sono mescolate insieme in una miscela di elettronica pesante e distorta tipica del suo sound e sfumature dubstep. Spiccano tra gli altri pezzi Bangarang e Recess. La sua musica sarà pure tacciata spesso di essere coatta, ma la resa live è pazzesca e il tamarro in fondo sa farlo molto bene. A quanto pare l’esperienza è piaciuta anche a lui, tant’è che ha elargito dj set a gogo in altre due occasioni nel corso del festival.
13 luglio – Serata all’insegna del glam che si è aperta con i lord del synth pop sofisticato, gli Hurts: il frontman e cantante Theo Hutchcraft, unico membro mobile del duo, ha dominato il palco in maniera attiva, sottolineando i contenuti melodrammatici dei testi con un’espressività degna di un Pierrot navigato. Imponente la scenografia: sullo sfondo una palizzata di fari in stile “musical tristo” ha riversato un accecante fiume di luce sulla moltitudine, che si è dispersa incomprensibilmente prima dell’arrivo dei Suede. La storica band londinese si è trovata a suonare davanti a un pubblico dimezzato seppur devoto. Nonostante ciò il sinuoso Brett Anderson e soci hanno dato il meglio di sé riproponendo classici quali Animal Nitrate, We Are the Pigs, The Beautiful Ones, lasciando invece poco spazio all’esecuzione dei brani dell’ultimo album, Bloodsports. Gli anni passano ma non c’è niente da fare, la fibra Britpop pare resistere al tempo. La resa audio non è stata eccellente, pur non scalfendo l’intensità dell’intera performance.
Huawei Fusion Stage
10 luglio – Problemi tecnici durante il line check per gli Afghan Whigs costringono la band a dimezzare la durata del loro live. In ogni caso una delle performance più entusiasmanti della serata, con un Greg Dulli in forma e capace come sempre di creare grandi emozioni grazie alla sua voce graffiante e potente e con l’intera band in grado di restituire al pubblico la carica corposa del suono tipico del gruppo. Rimane un mistero la scelta di non farli esibire al Main Stage. Oltre a proporre i brani dell’ultimo album Do To The Beast, non sì è risparmiato un tuffo nel passato, volgendo lo sguardo a brani come Gentlemen e Debonair. Nell’interpretare i pezzi, la mimica di Dulli è tutta rivolta al suo pubblico.
11 luglio – La spinta propulsiva della serata viene data dal live degli Asian Dub Foundation con tutta la loro carica anticapitalista e meticcia. Un pubblico spropositato ha seguito ballando e muovendosi durante tutto l’intero concerto, esplodendo durante i pezzi più rappresentativi della band (History of Now, Flyover e Fortress Europe)
Explosive Stage
10 luglio – Grande delusione per le incomprensioni linguistiche che hanno fatto perdere il live dei Madball: a causa di problemi logistici, i mostri del N.Y. hardcore hanno dovuto ritardare la propria esibizione di un paio d’ore, facendo credere agli astanti che il live fosse cancellato. L’annuncio in serbo è stato ovviamente frainteso, lasciando la band con un pubblico estremamente ridotto e al di sotto delle aspettative.
13 luglio – The war is over ma non all’Exit Festival: i Sabaton e il loro trash metal di ispirazione militaresca hanno risvegliato gli istinti “guerrafondai” del pubblico, agghindato di tutto punto per l’occasione con magliette a tema e capigliature da head – banging. Tra stage diving, corna alzate e bestiali cori da stadio, la band svedese ha confermato la sua fama mondiale di aizzatrice di animi.
Minor Acts
La palma d’oro tra i gruppi meno noti presenti all’Exit Festival va sicuramente alle giapponesi Tricot, che con il loro art rock violento ed energico hanno strappato al pubblico le ultime forze vitali prima della fine del Festival. Degno di nota anche il roots di Hornsman Coyote che ha emanato good vibes in apertura della prima giornata del Festival. Teatralità all’ennesima potenza per i Balkanopolis, tra ballerine, visual importanti e acrobate. La dolcezza di Tamara Milanovic ha accompagnato l’esibizione degli Stray Dogg, lanciandosi in ballate semi acustiche e cover di Jeff Buckley e Black Keys. Una sferzata di energia è arrivata invece dai Negative con la carismatica leader Ivana Peters che ha riscosso molto successo tra i conterranei serbi. Discutibile la scelta di esporre sua figlia sul palco durante l’esibizione.
I Plejboj, memorabili nel loro essere anonimi hanno invece riproposto sonorità trite e ritrite, risultando più adatti a suonare a un matrimonio che a un festival. Last but not least… la palma trash va alla cover punk di Felicità degli Atheist Rap: la fuga dopo le prime note è stata involontaria e spontanea.
Location e Storia
Il premio come Best Major European Festival vinto nel 2013 si spiega soprattutto per la splendida cornice che lo ospita: la fortezza di Petrovaradin che si erge in un’ansa del Danubio svettando su tutta la città, offre scenari suggestivi per la commistione di musica e storia, tra trincee e palchi.
Nonostante il recente passato bellico, anche la città di Novi Sad si presenta come una tranquilla oasi di pace (dove vivere costa pochissimo, almeno per noi: una pinta di birra viene 1,60 €, circa 150 dinari serbi…un paradiso) ed è collegata alla fortezza da un ponte che di notte s’illumina di mille colori per segnare il passo dell’ondata dei festivalieri di ritorno dall’intensa notte di musica.
Nato nel 2000 ad opera di un movimento studentesco per festeggiare le prime elezioni democratiche del paese, L’Exit a oggi perpetra la sua tradizione filantropica attraverso una fondazione che sostiene i giovani serbi. Durante questa edizione è stata portata avanti anche una raccolta fondi per le vittime della recente inondazione che ha colpito i Balcani.
Logistica
Novi Sad è raggiungibile dall’aeroporto di Belgrado con un apposito pullman disposto dall’organizzazione dell’Exit che si ferma proprio davanti all’area camping. A tale proposito, nel caso vogliate/possiate dormire, armarsi di tenda e sacco a pelo è senz’altro un’esperienza di condivisione tra il melting pot entusiasmante dei campeggiatori e lo “spirito estremo d’avventura”, ma scordatevi prati fioriti, comodità e pic nic romantici: si va a dormire all’alba e ci sveglia presto con il sole a picco e la tenda rovente, i bagni chimici spadroneggiano all’orizzonte e le docce sono solo per i più temerari. ACHTUNG!!! Ubriachi instabili sono all’ordine del giorno e potrebbero piovere sulla vostra tenda da un momento all’altro.
Nel caso non vi sentiate pronti ad affrontare tutto questo si può in alternativa optare per ostelli, alberghi o per l’affitto di un appartamento. C’è solo l’imbarazzo (della scelta).
Sul fronte connettività è da premiare il Wi Fi free diffuso in tutta la città: essenziale per la resa social dell’intero festival. Unica piccola pecca: la difficoltà di trovare qualcuno che parli inglese, ma la comunicazione è facilitata dalla gentilezza degli autoctoni, molto simpatici, cordiali, disponibili e alla mano.
Arrrivando al dunque, nella fortezza sono presenti numerosi palchi. I principali sono il Main Stage, per gli headliners, la Dance Arena (da noi disertata per motivi di sovraffollamento e incompatibilità musicale), il Huawei Fusion Stage per visioni alternative sul mondo della musica, l’Explosive Stage per le sonorità forti e tante altre aree tra cui quella della Silent Disco e del Karaoke.
Drink and Food
All’interno del festival si trovano diversi stand gastronomici assolutamente accessibili con porzioni sempre abbondanti, che spaziano dall’hot dog alle tipiche leccornie serbe. ACHTUNG!!! L’organizzazione del Festival, per evitare l’uso di contanti all’interno della fortezza, predispone una carta magnetica valida però esclusivamente per i Drink. Notifichiamo la presenza del Somersby, un dubbio sidro dalla gradazione alcolica neonatale. Sul fronte alcolico puro segnaliamo la rakija, un distillato di frutta tipicamente serbo.
Kit di sopravvivenza
K-way e crema solare: il clima cambia repentinamente
Salviettine umidificate: ogni doccia risparmiata…un anno di vita guadagnato
Scarpe resistenti al fango: con la pioggia l’elemento viscido tipico dei festival regna sovrano
Vestiti multistrato: la “cipolla” vince sempre
Imprecazioni random di riserva (ma niente paura!!! Per ogni momento difficile ce n’è sempre uno altrettanto, se non più memorabile dietro l’angolo)
Dresscode
Pensate poco al look e più alla comodità. È una prova di resistenza soprattutto in caso di pioggia persistente. Nessuno farà caso alla vostra maglietta sbrindellata, al vostro kway più lungo e fosforescente del solito, alla vostra faccia provata o ai vostri capelli disastrati. Sono tutti lì per divertirsi e il look “trasandato” va per la maggiore.
Tipi da Festival
La fauna presenta molti esemplari della specie tamarro/discotecaro, con deboli presenze metallare e hipster, ma quello che colpisce maggiormente è la giovane età dei partecipanti. La convivenza tra tutte le tipologie è tranquilla e amorevole, anche grazie all’ampia presenza di forze dell’ordine sempre pronte a vigilare sia all’interno che fuori dall’area del festival.
Conclusioni
Un’esperienza indimenticabile che lascia un segno indelebile al di là dell’importanza dei gruppi presenti in line up: la preponderante tendenza dance del festival lascia forse poco spazio alla musica, quella suonata; ma quello che conta è l’impressione più che positiva che infonde il festival nella sua interezza. Da non dimenticare inoltre la valenza storica, culturale e umanistica dell’Exit nato non solo per un capriccio di alcuni promoter megalomani, ma dal desiderio di libertà dal totalitarismo e dalla guerra. L’intero festival è sinonimo stesso di libertà e così va vissuto. È l’ideale per introdursi alla vita vera da festival (quella fatta di musica no stop, fango e campeggio) prima di dedicarsi a bestioni quali Glastonbury e soci.