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21 Ottobre 2014 | 4ad | 4ad | ![]() |
Una delle cose fondamentali che ci ha insegnato l’arte contemporanea è l’importanza del contesto. Il luogo, l’ambiente, la stanza, la piazza, diventano parte integrante dell’opera d’arte. Prendiamo per buono che la cornice sia l’estensione tridimensionale della tela – ed è così, perché nonostante ormai siamo abituati a fruire un buon 70% delle opere d’arte pittoriche all’interno dei musei, all’origine questi oggetti andavano ‘letti’ anche in virtù della propria cornice di supporto Ndr -: dal Novecento il luogo diventa la “nuova cornice”, l’estensione dell’opera fruibile (pittura, scultura, installazione che sia). Inoltre l’interferire e il cooperare di altri linguaggi appartenenti non solo alla visualità, ma alla musica, al teatro, al cinema, hanno portato a molte connubi e all’uso di ‘intermedia’ (come l’happening, l’environment o la performance) capaci di trasferire l’elemento artistico in un contesto diverso o addirittura in un contesto opposto a quello tradizionale.
Sia i Sunn O))) che Scott Walker possono considerarsi artisti a tutti gli effetti, autori di opere che potremmo descrivere come appartenenti ad un calderone di ossimori fatto di astrattismo, concettualismo e metafisica. I Sunn O))) sono diventati alcuni fra i più grandi sperimentatori del panorama “heavy” mondiale e la loro ricerca stilistica, compositiva, figurativa e performativa li proietta direttamente nel mondo della più contemporanea arte. Scott Walker raggiunge una destinazione analoga ma partendo da tutt’altra parte: i suoi ultimi album l’hanno identificato come una sorta di oscuro e nebuloso anti-musicista, anti-cantautore. Per quanto, quindi, la loro collaborazione sia parsa inaspettata a tutto il mondo, non può considerarsi poi così tanto inconcepibile – o addirittura allucinante come l’unione fra l’universo di Lou Reed e quello dei Metallica Ndr -.
Visto dal lato di Walker, i minimali colonnoni in overdrive dei Sunn O))) non diventeranno mai quei flussi orchestrali che forniscono a Scott diversi trampolini di lancio per le sue prestazioni vocali; dimenticate di trovare qualche parallelismo con ‘The Drift’ o ‘Tilt’ visto che le scarnificazioni sonore sono numerose e lontane dallo stile del cantautore. Visto dal lato dei Sunn O))), sarà straniante ma interessante percepire auree terrene (grazie alla calda voce di Scott) che divergono dalle astrazioni compositive del combo drone.
Soused, prima di rendersi ‘concreto’ all’utente come materiale unicamente audiofonico, è stato anche il prodotto di una sorta di happening a tutti gli effetti. Il 13 settembre il collettivo al completo ha riprodotto l’intero album una volta ogni ora per sette ore all’interno del Future-Past Studio, un’ex chiesa di fine Ottocento, ormai adibita a studio specializzato in registrazioni analogiche.
Perché un happening sia tale, necessita quasi obbligatoriamente della presenza del pubblico. In mancanza di questo si passerà alla registrazione (magari cinematografica): non per rendere il prodotto ‘fruibile’, ma per raggiungere un risultato uguale, unico, per tutti. Tutti possono trarne le proprie interpretazioni e fare i conti con i propri stati d’animo, purché l’intero apparato comunicativo abbia fornito gli stessi segni, gli stessi elementi, le stesse informazioni.
Sarebbe stato degno di nota e divertente persistere a quelle sette ore e stilare un elenco di piccole variabili sceniche che ipoteticamente (ma anche probabilmente, dato che l’happening in questione è stato realizzato da esseri umani e non da automi) avrebbero influito sulla fruizione “live” del prodotto. Cosicché, in quell’occasione, Soused, diventasse sette volte diverso da se stesso. Immaginate i potenti wall-of-sound di O’Malley alterati ogni volta da una calibrazione diversa delle manopole; immaginate Walker che intona in maniera leggermente diversa l’una dall’altra le sue litanie. Piccolissime variazioni sul tema ma abbastanza grandi per non riuscire a creare “l’opera unica”. Il lato quantomeno concettuale di questo album verrebbe a mancare. Ma ecco che a risolvere questa situazione arriva il formato musicale: il cd, il vinile, il download digitale, lo streaming, è proprio quello il prodotto uguale per tutti.
Però questo “prodotto definitivo” prescinde dall’happening in parte per quello che abbiamo detto, in altra parte perché sarebbe stato disponibile comunque con o senza l’happening. Discorso diverso sarebbe stato se si fossero realizzati dei “Soused ore 14:00”, “Soused ore 15:00”, “Soused ore 16:00″ e così via. In quel momento non solo l’happening sarebbe diventato performance ma il fruitore che avesse assistito ad una determinata esperienza, l’avrebbe ritrovata nel rispettivo arco di orario. In più: chiunque non fosse stato spettatore avrebbe goduto di un prodotto (o meglio, sette prodotti) univoco. Quindi, sostanzialmente, Soused non è né happening (perché esisteva prima ancora di quella sua proposta live) né performance (perché non è un prodotto di quella o di una di quelle proposte live) e tutto questo va pesantemente ad influire sulla sua resa, soprattutto se si considera l’estrema ripetitività e la poca variabilità del registro vocale, elemento cardine attorno al quale ruota sempre tutto.
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