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2 Dicembre 2014 | 4ad | pixiesmusic |
Sono in molti a conoscere i Pixies da quando, dopo aver visto la scena finale di Fight Club, hanno iniziato a chiedersi dove diavolo fosse finita la loro mente. Io non sono fra questi, ma li ho anticipati di poco. E in un certo senso quella scena riguarda anche me. Nessuno dei quattro somiglia anche solo vagamente ad Helena Bonham-Carter, e nemmeno io somiglio ad Edward Norton, ma per me è stato come in quella scena: i Pixies sono capitati in un momento molto strano della mia vita, ovvero quando stavo cambiando pelle, trasformandomi da studente modello in deficiente modello.
In quella fase scoprii che i Nirvana non si erano limitati a carpire dai Pixies alcune procedure, ma avevano proprio fatto copia e incolla, ed egregiamente, per quanto riguarda l’ambito Riff. Si prega di confrontare: “U-Mass” col sempiterno avvio di “Smells Like Teen Spirits“.
I Pixies sono stati, prima di tutto, la scoperta della “possibilità”. Era possibile seguire una via fantastica, delirante, divertente ma non idiota, all’interno del rock? Era possibile. Ma io non lo sapevo mica. E la scoperta mi colpì come un ceffone.
A volte basta un grido di Frank Black, o una linea di basso di Kim Deal, per scorgere una dimensione altra, un altrove che si fa beffa degli stilemi e degli stereotipi del rock, senza per questo ignorarli, ma filtrandoli attraverso un setaccio culinario, il cui manico sporge da una mensola che riporta, incisi sul bordo, anagrammi programmatici. Il Caos diventa “la Cosa”, e viceversa. E il non-sense, da scaturigini d’escrescenze Lynchane, sostanzia l’universo, facendosi neo-senso.
Divertimento, certo, ma anche liriche che parlano di morte, distruzione, perversione, abbattimento, nevrosi, alienazione, follia, terremoti. Il tutto triturato col martello anarchico della “fantasia”.E la mente che cancella è una testa d’animale che vomita il rimosso, con il taglio dell’occhio che s’abbatte su di essa, come uno Tsunami, o una “Wave of Mutilation”. Bizzarri percorsi mentali sposarono quel noise trasgressivo, ma irresistibilmente melodico. “I‘m un Chien Andalusia“. “Debaser” detta il passo della danza moderna, che per iscriversi nella cosmografia dei dischi stellari, mette Dalì e Bunuel alla testa del carro. Contro lo status quo degli U.S.A, e contro il superego della musica assennata, Frank Black, il cuoco panciuto, indossa, dopo David Thomas, la parannanza vertiginosa di Ubu Re, preferendo, sempre e comunque, l’Es.
Fin dal primo ascolto, ci si rende conto di essere entrati in un regno distorto, dove Frank il Nero, re urlatore, ha al suo fianco Kim Deal, regina dei controcanti melodici. Qualsiasi cosa potrebbe accadere, qualsiasi cosa potrebbe essere detta, qualsiasi cosa. Eppure, all’orecchio del forestiero, tutto suona naturale, proprio perché spogliato dalle sovrastrutture di certa assennatezza, che tanto fa male al rock, e non solo. E che volete farci, recuperare un minimo d’obiettività, quando si tratta di “Doolittle“, è davvero impossibile. Un disco perfetto, che non molla mai la presa, come un cane inferocito dell’Andalusia. I giri di basso di Kim Deal sono diventati assiomi del rock. Gli sproloqui di Mr Black sono entrati nei nostri cuori, come un amore incurabile. E poi c’è Joey Santiago, ovvero “il delirio in tre colpi di plettro”. Per non parlare di David Lovering che, oltre a tamburellare, si concede il lusso di cantare il brano più bello del disco, la geniale “La La Love you“, che resuscita Elvis in una gabbietta per canarini, glitterata d’adolescenza, ed immune alle dissonanze.
Poi certo, l’arte si scontra con i limiti della vita, e con quelli dell’età. Vedere il documentario che racconta della tournée avvenuta in seguito alla prima Reunion dei Pixies, a distanza di anni, ci restituisce un’immagine assai poco entusiasmante dei Fantastici Quattro. Fra piccoli e grandi rancori, diffidenze, scoglionamenti, acciacchi personali, nostalgie familiari, e conti da pagare. Altro che Patafisica.
Ma non facciamoci prendere dalla realtà. Questo disco è immortale proprio perché i suoi arrangiamenti, le sue storie, e gli sfortunati personaggi che le abitano, non hanno dimora nel presente. Non hanno alcun diritto di cittadinanza in ciò che è reale e spiegabile. Certo, molti spunti sono presi dalla cosiddetta “vita vera”, ma non c’è mai resa, solo superamento. Tutto questo non si traduce mai in un banale realismo. Prendete ad esempio “Monkey’s gone to Heaven“. Ho letto da qualche parte che sarebbe una canzone ecologista, ispirata dal buco dell’ozono. Fra le mani dei Pixies, e non di un Jovanotti qualsiasi, è diventata un viaggio allucinante e struggente, che culmina nell’ormai celebre cabala di “If man is 5, and the Devil is 6, then God is 7“. Anche la traccia è la numero sette, e anch’essa è divina. Non me ne vogliano gli atei.
Sono passati 25 anni dalla nascita di questo amico, di questo mio “quasi coetaneo”. Ancora oggi mi interrogo sul suo senso, senza grossi risultati. Ma uno, per quanto possa sembrare banale, forse l’ho raggiunto, perché ogni volta che riascolto “Doolittle”, oscillando come un cretino al suono di “Mr Grieves”, canticchiando sotto la doccia, o sotto la pioggia, “Here comes your Man”, o esaltandomi con la sfuriata di “Crackity Jones”, mi ricordo, ancora una volta, che la musica è prima di tutto libertà, e fantasia, e voglia di creare qualcosa di grandioso, qualcosa di speciale, che racconti una storia incredibile, una storia che, malgrado tutto, resisterà, contro le lancette del tempo, contro le sue falci. Non si smette mai di imparare da “Doolittle”.
La ricchissima riedizione, che comprende ben tre cd, con rarità, demo, versioni alternative, ed estratti dalle Peel Sessions, è dunque un appuntamento immancabile per chi, come me, vuole rispolverare gli armadi del proprio delirio, ma anche per chi, ad oggi, ne ha ancora la stanza sprovvista. Perciò avanti, arredare!
EPILOGO POSTICCIO
In questi tempi divisi fra religiosità Pop e religiosità bomb, sono spinto, dalle mie radici cristiane, a fare una chiusa papale:
Questa sera, quando tornate a casa, e trovate vostro figlio/a incollato al pc, intento a comporre tweet come “Mamma mia Fedez: Intelligenza & Trasgressione”, dategli un bel ceffone, e prima che possa darvi del “vetero-patriarca”, ditegli: “Questo è il ceffone dei Pixies”. Un giorno capirà.