Trent Reznor & Atticus Ross – Gone Girl Soundtrack

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«Quando penso a mia moglie, penso sempre alla sua testa. Immagino di aprirle quel cranio perfetto e srotolarle il cervello in cerca di risposte alle domande principali di ogni matrimonio: A cosa pensi? Come ti senti? Che cosa ci siamo fatti?».

È già dai titoli di testa, tra le immagini del logo della 20th Century Fox, prima che le scene iniziali vengano mostrate sullo schermo, che la musica nasce, modellandosi sul film, vivendo per la sua intricata sceneggiatura. Una voce fuori campo prende vita tra le ombre del suono, mentre una mano maschile accarezza dolcemente la testa di una donna distesa, costruendo un’atmosfera alternativa e allo stesso tempo strumentale al Dna del film. Gone Girl, che nel nostro Paese diventa L’Amore Bugiardo per quell’abitudine malsana e tutta italiana di modificare i titoli dei film, è una pellicola agghiacciante diretta da David Fincher, è un adattamento cinematografico dell’omonimo libro di Gillian Flynn, che cura anche la sceneggiatura, ed è anche un’oscura soundtrack che segna il ritorno della coppia Trent Reznor – Atticus Ross, dopo le colonne sonore di The Social Network e The Girl with the Dragon Tattoo.

Le note inquiete di “What Have We Done to Each Other?”, aliene ed eteree, aprono le porte sul mondo di Nick (Ben Affleck) e Amy Dunne (Rosamund Pike), sul loro universo privato; scavando nell’oscurità cinematografica di David Fincher e tra i recessi della mente dei protagonisti. Il prologo di un sentimento che è altro da sé, falso nel suo non essere come tutti lo immaginavano e vero nei retroscena di una reale autopsia coniugale. I fantasmi si muovono nella notte, così come l’oscurità occulta della fotografia e le tenebre della colonna sonora. La solitudine sonora di “Sugar Storm”, che cela le distorsioni attraverso una quiete musicale apparente, accompagna il loro primo incontro, mentre il vuoto rigido e allarmante di “Empty Places” svela una scomparsa. Ben presto, la quiete cede il passo alla tensione sonora e narrativa, alle vibrazioni industrial (With Suspicion) e ai sospetti. Volano pennellate di pianoforte (Just Like You) e paesaggi minimali (Appearances), mentre gli indizi o “presunti tali” vanno via via districandosi, tra echi distorti e trepidazioni sonore (Clue One, Clue Two).

La prova del nove del tuo matrimonio? Somma una recessione. Sottrai due impieghi. Il totale ti sorprenderà.

Il gioco della finzione diventa un diario illusorio volutamente aperto sul loro mondo, una pièce irreale che tutti devono vedere, una parola scritta su carta, mentre le memorie di un passato in flashback si fondono all’alterazione del quotidiano. Un montaggio alternato unisce il passato ai tempi narrativi; un mesto pianoforte muove le mani di Amy e i suoi ricordi (Background Noise). La suspense comincia ad aumentare brano dopo brano, frame dopo frame, tra angoscianti rumori metallici, anime ultraterrene (Procedural, Something Disposable) e morbidezze siderali (Like Home). Le tracce si confondono, facendosi via via più caotiche, e la drammatizzazione dell’evento diventa spettacolo: perché la vita dev’essere soggetta allo sguardo altrui. La gabbia mediatica è l’apparenza del perfetto, la genesi di una perfezione quasi mitica da dare in pasto alla società; è la messa in scena del sentimento da rendere visibile per sfuggire alla monotonia degli eventi; è una veglia che tenta di confutare i fatti, rendendoli luccicanti (Empty Places – Reprise).

Indizio tre: Sono io la tua monella con un’altra marachella, e per questo nuovo intrigo certo merito un castigo. I regali per il quinto son già tutti in posizione, per cui apri quella porta con impegno e attenzione.

L’indagine continua seguendo il groviglio d’informazioni, tentando di districare un puzzle destrutturato di ansie e aspettative. I suoni giocano in loop a livello psichico, disponendo tappeti inconsci, spettrali e caustici di note (The Way He Looks at Me); appesi a un filo, i ronzii nervosi minacciano l’ascolto, andando in crescendo (Technically, Missing). Segnali radio (Secrets, Perpetual) si mescolano al pathos della narrazione, ai suoni dal sapore materico (Strange Activities) e ai riflessi di cupe astrazioni ritmiche (Still Gone, A Reflection). Scorre poi un’altalena sonora capace di virare dalla deflagrazione sadica, violenta e feroce di un declino consumato tra lenzuola bianche e sangue (Consummation), alla quiete generata da modulazioni ultraterrene (Sugar Storm – Reprise, What will we do?). Fino all’epilogo (At Risk), che fa danzare un piano “cosmico” su lunghi silenzi, battiti cardiaci e furia oscura, mentre paradiso e inferno si assomigliano fino all’ultimo inganno, sino alla fine identica all’inizio.

Il sound “mentale” di Gone Girl con la sua elettronica quasi ancestrale e concreta al contempo, scava fino al midollo le angosce dell’ambiente circostante e il disagio dei meandri del subconscio. Tutto è un teatro di falsificazione dominato dall’inganno del sé, dove pubblico e privato si sommano tra loro, cancellando i labili confini. Ogni angolo buio della realtà è un universo sonoro e visivo nel quale niente è come sembra.

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