A Place To Bury Strangers – Transfixiation

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A Castellina Marittima, sulle colline a ridosso della costa toscana c’è un festival di piccole proporzioni ma dalla piacevole irruenza. Per chi non ci fosse mai passato si chiama MW, come musica viva. A vedere la location fuori stagione pare impossibile che in un così piccolo borgo si allestisca, d’estate, una manifestazione, a suo modo imponente. Soprattutto si fa fatica a capire come si riesca a trasformare in palco quello che può sembrare più una pista del liscio, un cortile di scuola, uno spazio condominiale con sei posti auto a rotazione. Ecco, in quel metro quadro, nel 2011 ho vissuto l’esperienza degli A Place To Bury Strangers live ed è stato bellissimo. Da una parte il muro di rumore devastante come deve essere con la band più chiassosa di Brooklyn e New York tutta, dall’altra un pubblico perfettamente a proprio agio, fatto di reduci di una giornata alle “spiagge bianche”, di affezionati del festival, di fans arrivati da lontano, di gente del loco. Probabilmente perché nel surreale bombardamento in piazzetta, sotto a strati di riverbero, sotto ai bassi, sotto al magma c’erano le canzoni di Exploding Head che si facevano largo su tutto.

Proprio le canzoni sono quel che manca in Transfixiation. Detto così è un discorso tranchant ma non c’è da girarci intorno, almeno non quando parliamo della band di Oliver Ackermann. Che poi anche Worship, il capitolo che ha preceduto Transfixiation non era al livello dei due primi album, eppure si salvava nel suo complesso per via di una compattezza dignitosa: dosaggi equilibrati tra bordate e sperimentazioni e la sensazione che dal vivo avrebbe permesso di tenere il passo con il resto del repertorio. Questo nuovo album, invece, pur partendo da un presupposto nobile e soprattutto ragionevole, va lentamente ad incartarsi su se stesso.

Il presupposto sembra quello di darci un disco dal suono già prossimo a quell’esperienza live e quindi in grado di far sanguinare le orecchie come si conviene. In questo senso va letto il contributo, stavolta di maggior peso, del batterista Robi Gonzalez (entrato nel 2012) e la riduzione percentuale di ritmiche campionate in favore di battiti più umani. Ma, tocca ripetersi, tutto questo funzionerebbe se “We’ve Come So Far” e “Straight” avessero un po’ di fiamma e un po’ di vita. Si salva decisamente “Now It’s Over” , così come l’apertura promettente affidata a “Supermaster” o la strumentale “Lower Zone“. In quest’ultima ritroviamo Ackerman a giocare con i suoi pedali e i suoi cavi, come lo scienziato pazzo, e un po’ misantropo, che lui stesso interpretava nel video di “Keep Slipping Away“. Oppure come l’artigiano che il leader degli APTBS impersona quotidianamente nella sua “piccola bottega dei rumori” che è la Death By Audio. Proprio a tal proposito si fa avanti l’idea che in certi momenti Transfixiation abbia le vaghe sembianze di una demo di ciò che si può fare con gli effetti e i pedali che Ackermann crea, compone, testa e vende nel suo prezioso laboratorio. Diciamo che, invece, nella discografia precedente, la componente DBA era stata “solo” l’appendice valorizzante di una creatività già di suo smodata. É certo che dal vivo questi qui spaccheranno tutto e ci tramortiranno di nuovo, finché ci sarà qualcosa di solido e compiuto da fare a pezzettini e poi seppellire di macerie. Il materiale nuovo non li aiuterà molto in tal senso. Il resto sì, come sempre.
[schema type=”review” name=”A Place To Bury Strangers – Transfixiation” author=”Marco Bachini” user_review=”2″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]