Dutch Uncles – O Shudder

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I Dutch Uncles, ormai al loro quarto disco, decidono di far sul serio, o di prendersi un po’ troppo sul serio: punti di vista. Dopo un pirotecnico tour con i Paramore – cosa che di certo non depone a loro favore, almeno non da queste parti NdR – puntano alle grandi masse, quelle che hanno già in parte conquistato sui più grandi palchi europei: anche dalle nostre parti, basti pensare alla data all’Ippodromo del Galoppo a Milano. Music for the masses, quindi, come i Depeche Mode intitolavano il parente cronologicamente più vicino a Black Celebration.

La ricerca della fama, assolutamente comprensibile, non fa deviare però la nostra band britannica da quel principio morale che muove le note del nuovo O Shudder: fare un disco personale e impegnato, sebbene diretto. Come ha detto Duncan Wallis, cantante del gruppo, questo è un disco che punta a riflessioni di un certo spessore: testi sulla gravidanza, il terrorismo, il divorzio, le disfunzioni sessuali e la ricerca di un lavoro. Una summa lirica della nostra problematica e intricata era, tanto per intenderci. Le premesse per un disco brillante e epico sembrerebbero quindi esserci, eppure qualcosa è venuto a mancare. Chiamiamola creatività, o magari sottomissione alle sopraccitate masses.

Le masse, infatti, ragionano per categorie e classi (sociali come musicali), e i Dutch Uncles – grande errore – decidono di semplificare il lavoro ai loro ascoltatori, rendendo il tutto assolutamente catalogabile e riconoscibile, nonché accessibile. L’equazione è semplice: critica sociale in pieno stile XTC, motivi trascinanti à la Tears For Fears, e tanto, ma proprio tanto, ripescaggio dai Wild Beasts, soprattutto quelli del periodo Two Dancers (ma anche solamente We Still Got The Taste Dancing è anni luce da qualsiasi pezzo qui contenuto); e poi il tutto è stato missato con delle involontarie interferenze dagli ultimi Depeche Mode (Decided Knowledge ne è la prova).

Given Thing è l’unica traccia a sopravvivere a tutto questo: il pianoforte dà il via alla canzone, poi entra un suono arpeggiante, un pad, e tutto subito si ribalta con sospiri e una sinuosa linea di basso, come se gli Hot Chip remissassero la musa ispiratrice Wild Beasts. Si balla, ed è un ballo piacevole, con una canzone ben costruita in sottofondo. E anche noi qui abbiamo potuto sospirare di piacere, anche se per poco.

La soluzione musicale adottata dai Dutch Uncles per far convogliare le loro esigenze espressive con la necessità di una maggiore fama non convince. Tutto è patinato, prevedibile: art pop già realizzata altrove e con qualità musicali sicuramente maggiori.

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