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30 Marzo 2015 | Trovarobato | Iosonouncane |
Parabole televisive per presenze musicali oblique che si risolvono in maree poetiche di vacuità e orrore: questa potrebbe essere la frase corretta – con ingiustificata dose retorica – da far recitare ad una qualche valletta prima di una improbabile presentazione a Che Tempo Che Fa di Iosonouncane: musicista di Buggerru, Sardegna, che colpì con veemenza la critica italiana in un anno decisamente particolare. Un anno che si vide morso da canini molto appuntiti: qualche mese dopo l’uscita de Dei Cani dei Non Voglio che Clara, fanno, infatti, capolino nella varia scena musicale di quel periodo Iosonouncane e I Cani. Una musica che è canea.
Tutti e due gli artisti appena citati partivano da un intento narrativo molto vicino, per quanto poi fosse distante nella realizzazione: raccontare storie, farlo con ironica ferocia e disillusione, ma soprattutto con una grande comprensione delle dinamiche politico-sociali che muovono l’Italia, in particolare Roma – chi cantando di Roma Nord, chi della Garbatella.
Stranamente sia il cane solitario che il branco romano hanno poi deciso di cambiare il proprio volto, si sono ripromessi di dirigere il loro sguardo da qualche altra parte. Tutti e due sembrano, oggi, essere diventati maggiormente chiusi ed intimi; ma l’intento è solo quello di aprire degli spazi che l’umanità – presa come oggetto del narrare – opprime e riempie di sé. Museruola e occhi sbarrati, allora.
Iosonouncane dimostra questa nuova volontà concentrandosi attentamente su una singola vicenda: un uomo è alla deriva e, mentre le onde lo ingoiano e lo rigettano via, una donna distante lo osserva. Rimangono i pensieri di chi si allontana, di chi attende; rimangono le immagini di chi osserva, di chi vive. Questo è il nucleo narrativo di DIE.
Vi ricordate come si chiamava il pezzo che apriva La Macarena su Roma? Era Summer on a spiaggia affollata. Nel 2015 la spiaggia torna ad essere quella solitaria cantata da Battiato: mare, mare, mare, voglio annegare. La storia di una morte per acqua. Fear death by water, scrive T.S. Eliot ne La Terra Desolata. Parallelo – quest’ultimo – che sentivo di dover tracciare: il mare di DIE è un luogo di solitudine, di devasto, lontananza e aridità spirituale contrapposta alla ricchezza sterminata e menzognera dell’acqua. Acqua, acqua ovunque, e neanche una goccia da bere!, si dice in quell’altro capolavoro che è La Ballata dell’Antico Marinaio. Il caldo del die, sardo per giorno, e la freddezza perentoria del die inglese – e per essere precisi anche una femminilità velata, facendo riferimento al pronome femminile Die in tedesco -, tutto si ingrossa e respira in una megalitica opera composta da sei movimenti.
Mi ricordo di quando tutti ascoltavamo La Macarena su Roma: era un’esperienza parallela al guardare Blob su Rai Tre. Omaggio e critica. Un’insopportabile e crudele collage del peggio, che nel suo insieme però assumeva un valore epifanico, profetico: far nascere fiori dal letame non è certo da tutti. Giusto un cane, un emarginato, un essere diverso che apprezza tanto il tartufo bianco quanto il vomito dei suoi compagni di rimpinzate, giusto questo può aver le armi necessarie a farsi messia e interprete.
Ritrovarsi ad ascoltare dopo quattro anni DIE invece è molto più difficile e stimolante. È un disco meno sorprendente, meno innovativo, meno dirompente. Ma in realtà, mentre facciamo questi ragionamenti, ci stiamo solo ingannando: è facile apprezzare una critica feroce a una realtà che si getta già di sua spontanea volontà del letame addosso. La Macarena su Roma era un colpo sicuro, di difficile realizzazione, ma un successo garantito. DIE è un’opera completamente differente, non solo rispetto a quello che ci aveva presentato precedentemente Iosonouncane, ma anche a quello che la musica sperimentale italiana ci aveva fino ad oggi offerto.
Fondamentalmente DIE vede i Fuck Buttons che collaborano col De André di Storia di un Impiegato. E allora anche quest’album è un collage? Un secondo Blob musicale? Decisamente sì, è innegabile. Eppure i tasselli di una storia possono essere mescolati in due maniere diverse: mantenendo una sequenza, perlopiù temporale e logica, coerente; ma anche destrutturando ogni ordine, ogni legame: perdendo una qualsiasi connessione che possa far pensare a un mondo reale. Oggi Iosonouncane aderisce al secondo modo di fare: DIE è miscuglio violento, sanguigno, impossibile. Acronico, e anche decisamente atipico. Non ci sono più le mille voci confuse e vuote della televisione: siamo soli, ma non così tanto da non poter scrivere il testamento corale d’una umanità stilizzata, ridotta all’osso, ai minimi termini dei generi di uomo e donna.