What is rock? I don’t care!
Where’s the cash? Where’s the cash?
The money, The money, the money money money.
– Turbonegro “What Is Rock“
Che sia tutto legato al talento? Sicuramente. Su cosa sia il talento invece bisogna aprire una bella parentesi, come del resto sui contesti di riferimento che permettono ad esso di emergere. Siamo nel 1966: i Beatles tornavano da Frisco con Lennon sotto acido, Harrison in botta per la cultura indiana e Ringo Starr che tentava di serrare le fila. Nell’agosto di quell’anno diedero alle stampe “Revolver“, forse il più equilibrato dei loro lavori, colmo di quelle influenze che sbocceranno col seguente Sgt. Pepper’s. Il Flower Power impazzava e tutti amavano i Beatles: anche in Germania. Per i tedeschi però, il Rock’n’Roll stava diventando una questione di vita o di morte. Facevano sul serio, avevano fame di questa grande rivoluzione culturale, e come da copione, volevano una scena autoctona.
Ora immaginate una nazione, la Germania, dove il susseguirsi di nuove generazioni alleggerì quel pesante fardello ereditato dal recente passato, dalla guerra. Una nazione che accolse gli stessi Beatles allo Star Club di Amburgo con la foga di chi la preda non vuole farsela sfuggire. Immaginate quanto questo bisogno d’aggregazione contestuale, associato ad una propria visione dei fatti, potesse essere forte nei giovani affamati di questa cultura: quella del Rock. Flower Power vs affermazione e presenza. Ginsbgerg vs la poesia non-sense dadaista.
Gary Burger, Larry Clark, Eddie Shaw, Dave Day e Roger Johnston se ne stavano di stanza in una base aeronautica Americana in Germania, isolati da un contesto culturale d’appartenenza che stava esplodendo senza che loro potessero prenderne parte. Erano musicisti. Certo, a loro non dispiaceva esibirsi come cover band di Chuck Berry – si facevano chiamare Torquays – nei più malfamati locali teutonici: ma appena decisero di fare veramente sul serio, cambiarono immediatamente ragione sociale aumentando il tasso schizofrenico delle loro composizioni. Dichiaratamente anti-Beatles, e godendo di un contesto florido per la propria visione folle di Rock’n’Roll, i nostri abbracciarono quella che a tutti gli effetti fu, e rimane tutt’ora, la più grande manifestazione di Garage-Rock demenziale e anarcoide della storia.
Black Monk Time uscì lo stesso anno di Revolver, ed inconsciamente per la cultura tedesca rappresentò quel colpo di defibrillatore tanto invocato. Un groviglio di trovate assurde ad uso e consumo di un popolo che nel migliore dei casi non capiva le trivialità espresse nei testi. Elettrificarono un banjo a sei corde, carbonizzando tutti gli stili appartenenti al recente passato dando loro nuova forma: Mersery Beat, Folk e Doo-Wop, manifestando una certa lungimiranza sulle dinamiche che un ventennio più tardi diventeranno imperanti, ovvero quelle della Punk music. Poi c’era il look. Saio ovunque, anche sul palco, chierica, ed una tendenza nel buttare tutto sul sociale. Immaginate le facce delle nerborute massaie tedesche quando, nello stesso anno d’uscita, vennero invitati ad esibirsi per la televisione nazionale con il brano “Complications“: roba per la quale bisognerebbe inventare la macchina del tempo.
Testo semplice ed abbastanza esplicativo:
Complication
Complication
Complication
Constipation
People cry
People die for youPeople kill
People will for you
People run
Ain’t it fun for you
People go
To their deaths for you
Complication
Chiaramente, come spesso succede in questi casi, Black Monk Time fu un clamoroso flop. Il mondo non era pronto per tutta quell’irriverenza, figuriamoci la Germania. Oggi rappresenta, a ragione, un caposaldo della musica Rock, e la loro sfacciataggine come il loro lavorare costantemente per addizione potrebbe essere riassunto un una sola parola: talento.