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07/04/2016 | Bronson Recordings |
Nelle sue collezioni di distici rimati Johannes Scheffler – meglio conosciuto nel nostro paese come Silesio – racconta, a volte con delicati paradossi, la storia fuorviante della dualità: perché tutto in realtà tende all’unificazione. Silesio, ripudiando ogni possibile interpretazione panteista, nel suo Cherubinischer Wandersmann (1674) fa confluire il concetto stesso di “amore” (cosmico?) nella figura archetipica di un Dio, che, impossibilitato nell’amare creature a lui inferiori (coscienzialmente) decide di manifestare la propria forma “infinita” all’interno di un involucro “finito”: l’uomo.
Un cappello introduttivo doveroso, nel tentativo di descrivere la natura di un esordio che deve parte del proprio misticismo al pensiero del poeta Tedesco. Gli Istvan vengono da Forlì e il lavoro in oggetto rappresenta una delle più belle promesse dello Stoner nostrano odierno: in compagnia di quel “Nusun” a firma Pater Nembrot. Cinque pezzi capaci di evocare in egual misura i paesaggi bollenti del Mojave e le profondità del cosmo. Un flusso musicale in cui scorrono liberamente e senza contrasti correnti desertiche e Neo-Psichedelia, Blues e arpeggi delicati e nostalgici à la John Fahey – Stonemill. La stella polare rimangono però i Kyuss: qui trattati con inedita eleganza – Mire. Tutto ammantato da un’estetica che ricorda le cose migliori dei grandi Dead Meadow, e messo a vostra disposizione dalla Bronson Recordings in uno stupendo vestito vinilico verde. Vi sembra poco?