Il Punk alla prova del tempo: una conversazione con Seby dei Derozer

9601_550598435117800_8916318618634242048_n
Abbiamo raggiunto al telefono Seby dei Derozer, una voce unica nel panorama punk italiano, mentre è ancora in corso il breve tour di sei date, che si concluderà il 30 Aprile al LattePiù Live di Brescia, che vede il gruppo tornare sul palco senza il bassista Mendez, ma con la stessa grinta che da sempre caratterizza le sue esibizioni. Di cosa abbiamo parlato, con il leader di questa brigata musicale nata in quel di Vicenza? Del presente, vale a dire dei concerti. Del passato, e qui è emersa un po’ di nostalgia. Del futuro della band, anche discografico. E di una realtà sempre più massificata, sempre più omologata: l’Italia non è un paese per punkettoni. Oggi come ieri.

Bene, cominciamo dal vostro ritorno sul palco. Usiamolo come spunto per la domanda che segue: oltre a queste sei date, c’è forse un nuovo capitolo della Saga-Derozer che bolle in pentola, un nuovo disco?

Abbiamo deciso di intraprendere questo breve tour per metterci alla prova, per capire se avevamo ancora la giusta energia, e il giusto entusiasmo per andare avanti, e questo anche dal punto di vista discografico.

E finora come è andata?

Mettiamola così: se eravamo carichi prima ancora di iniziare, adesso lo siamo mille volte tanto.

Sempre “Fedeli alla Tribù”.

Assolutamente!

Passiamo alle note dolenti, a quello che di certo sarà un tema ricorrente nelle attuali interviste. Mi riferisco  all’abbandono di Mendez, il vostro storico bassista. Avete annunciato che per ogni data è stato ingaggiato un sostituto, di volta in volta diverso. State pensando invece, per il futuro, ad un sostituto in pianta stabile?

No, non credo. Mendez è come quei calciatori che quando lasciano la squadra si portano via la maglia. Per quanto ci riguarda, in futuro nessuno scenderà in campo col suo numero dietro le spalle. Penso che ci limiteremo a contattare alcuni buoni amici che lo sostituiranno durante i concerti.

Quasi trent’anni di carriera, di esperienza sul campo. Come è cambiata, e quanto è cambiata, secondo te la scena punk nel corso del tempo ?

Il cambiamento è inevitabile, è fisiologico. Adesso, poi, siamo immersi nella tecnologia. Ma c’è un fatto strano, almeno per me: più aumentano i mezzi di comunicazione, e più viene a mancare proprio la comunicazione. Quella vera, faccia a faccia. E di conseguenza anche il supporto reciproco, la scena come la intendevamo noi.  Mi sembra che le ultime generazioni trascorrano più tempo a lamentarsi che altro. Se penso a quanto ci sbattevamo noi per organizzare un concerto …

Parlaci un po’ di quel periodo …

Guarda, quando abbiamo  iniziato noi, a cavallo fra ‘80 e ‘90, più o meno la situazione era quella di adesso. Tutti i gruppi importanti si erano sciolti. Non c’erano punti di riferimento. Non c’erano locali. Noi li affittavamo per farci i nostri concerti. Era tutto all’insegna del “do it yourself”. Consumavamo ogni singola energia per la musica. Oggi vedo che ancora qualcuno lo fa, ma sento anche tante lamentele ingiustificate. Se ci credi veramente, devi andare fino infondo. Allora le nostre vacanze erano i tour, i nostri risparmi andavano negli strumenti.  E così via …

Seby, tu sei da sempre autore di musiche e testi, e in pratica scrivi canzoni punk da una vita, ma oltre al punk, sia detto nell’accezione più vasta del termine, quali altri generi ascolti?

Ascolto tantissima musica oltre al punk. E amo anche altri generi, come ad esempio l’hard rock, l’heavy metal, cose di questo tipo. Gli Anthrax sono uno dei miei gruppi preferiti, se proprio lo vuoi sapere.

Ascoltando i vostri dischi si intuisce, oltre alla spontaneità e all’approccio diretto, una miscela punk pluri-sfaccettata, che mette insieme oi, surf-punk, hardcore …

Sì, penso che sia un’osservazione esatta. Il punk in stile Derozer può essere indubbiamente definito come un punk dalle molteplici sfaccettature.

Trovo però che dagli accenni surf-punk di brani come “Suzy”, tratta dal vostro esordio “Bar”, lo stile dei Derozer si sia come incupito, e abbia perso molta della spensieratezza, se così si può dire, che c’era invece agli inizi. Sembra quasi che la vostra musica abbia rispecchiato il cambiamento umorale, in negativo, di tutto il nostro paese, da almeno vent’anni a questa parte.

Il cambiamento del paese, dici? Può darsi. Ma soprattutto delle nostre vite. Passano gli anni, e le nostre  esperienze personali non sono più le stesse di prima. Con l’avanzare dell’età è inevitabile. E anche i problemi che abbiamo oggi, di conseguenza, non sono più gli stessi di ieri. Te lo dico perché abbiamo sempre suonato brani autobiografici, e se già eravamo meno scanzonati dopo i 30, figuriamoci dopo i 40.

Tu un tempo suonavi negli Strange Corner, e poi sei entrato nei Derozer, di cui peraltro eri fan. Cosa si prova a diventare il leader, e l’autore principale, di un gruppo che ami? Com’è stato, insomma, il passaggio da spettatore ad attore principale?

Te lo lascio immaginare. Sono emozioni che non si possono descrivere. Se ci ripenso, davvero, è stato come un sogno che è diventato realtà.

Ma il punk, oltre ad essere un sogno da seguire, e si capisce ascoltando i vostri brani, è anche un grido di resistenza, un forte collante identitario, qualcosa in cui riconoscersi per contrastare i dettami sociali. Riuscirete, se già non lo state facendo,  a trasmettere questo messaggio alle nuove generazioni?

Vedremo. Lo scopriremo alla fine del tour. Sarà solo il tempo a dircelo. Questa per noi è una nuova fase. Come ho già detto prima, l’entusiasmo è tantissimo. Ma è presto per dire se allargheremo la nostra tribù, e se riusciremo a fare breccia negli adolescenti, o nei ventenni di oggi. Per ora l’età media del pubblico è molto alta, e stiamo parlando di un pubblico composto dai nostri sostenitori di lunga data, che ormai per noi sono come una famiglia. Vedremo.

Scorrendo i titoli di alcuni dischi dei Derozer, come “Bar”, “Chiusi dentro”, “Live in studio”, si intuisce una sorta di contrasto fra dentro e fuori. E si avverte una specie di conflitto fra l’isola felice del vostro microcosmo, inteso qui come luogo di aggregazione, condivisione, e creatività, rispetto al mondo esterno. E se vogliamo, con l’andare avanti del tempo, il contrasto fra l’età d’oro del punk e un presente che invece si è fatto più oscuro e privo di speranza. E sto pensando anche alla citazione del film “Take Shelter”, presente nel videoclip di “La Nuvola”.

La citazione c’è, è vero. Come è vero che alcuni luoghi che abbiamo raccontato, prendi il bar e la sala prove, alla fine sono un po’ dei rifugi, delle fortezze per proteggersi dal mondo esterno. Ma qui torniamo al discorso di prima: gli anni passano e certe cose non possono più essere come prima. Le crew, le brigate di una volta, si sfaldano. Ma resta comunque la volontà di non arrendersi, di resistere.

Allora ti chiedo, a questo punto: è più difficile essere punk oggi, rispetto a prima?

Decisamente. Ma sai che c’è? In giro vedo anche tanta voglia di omologazione. Ti faccio un esempio: una volta a Vicenza vedevi che in piazza c’erano gruppi di persone più o meno variegati. C’erano i dark, c’erano i metallari, e mettici anche i paninari. Oggi invece non riesci quasi più a distinguerli uno dall’altro, e mi riferisco soprattutto ai giovani. Sembrano tutti uguali, come se non avessero più voglia di distaccarsi dalla massa.

Ne abbiamo accennato all’inizio. Potresti darci qualche anticipazione in più sul nuovo album?

Tanti pezzi sono già chiusi, ma è ancora in fase di evoluzione. Siamo partiti con l’idea di farlo un po’ più lento del solito, ma strada facendo ci siamo resi conto che invece sarebbe stato un classico disco alla Derozer, quindi veloce, molto veloce. E anche il concept ruoterà intorno al tema della corsa, come specchio della vita.

La corsa come metafora della vita, raccontata attraverso la velocità dell’hardcore?

Esattamente!

Da veterano del punk, consigliaci  qualche disco, volendo anche dei Derozer, che per te bisogna avere assolutamente.

Dei Derozer, io consiglierei “La nostra età” e “Chiusi dentro”. Sono i miei preferiti. E poi, dato che li ascolto praticamente ogni giorno, “Against the grain” dei Bad Religion e un disco qualsiasi dei mitici Social Distortion.

Abbiamo finito, Seby, grazie. Spero di vederti presto sul palco, possibilmente a Roma.

Contaci, e magari ci prendiamo anche una birra.