ANOHNI – Hopelessness

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C’è una sorta di vago pudore misto a sano rispetto che ci fa mettere in secondo/terzo piano il fatto che Antony Hegarty come l’abbiamo conosciuto non c’è più. Invece di limitarci al cambio di articolo o pronome potremmo anche esplicitare che quella di ANOHNI è una figura femminile nell’essenza, oltre che nell’involucro. Ammesso che interessi così tanto l’involucro. In effetti colludiamo giustamente con lei che non ama parlare della sua transizione e che a riprova di ciò, in questo stupendo lavoro ha deciso di concentrare le liriche su temi che riguardano più l’umanità in senso lato che le vicende di un individuo in senso stretto.

Però, a onor del vero, il tema del cambiamento e della riappropriazione è sparso ovunque, nei suoni in primis. Come sappiamo da diversi mesi, l’opera prima di ANOHNI è frutto di una collaborazione fra la titolare e due pesi massimi dell’elettronica, quali Hudson Mohawke e Daniel Lopatin (Oneohtrix Point Never). Il loro apporto è a volte discreto e a volte più connotante. Forse sono più efficaci i frangenti della seconda specie. La notizia della svolta elettronica dell’ex voce di Antony & The Johnsons avrebbe potuto farci pensare a quella gloriosa collaborazione sad disco che fu “Blind” (con Hercules & Love Affair) ma ANOHNI non naviga in quelle acque. Il suono di questo album così politico è più simile a una lenta processione marziale (“4 Degrees”) sostenuta da  drone music, ambient e le piccole apocalissi create da Lopatin e Hudmo. La prima parte del disco è quella più a fuoco mentre le atmosfere opprimenti della parte centrale (l’uno-due “Obama” e “Violent Men”) non è che giovino molto alla comunicabilità di contenuti già opprimenti di loro. Poi arrivano gli squarci melodici di “Why Did You Separate Me From The Earth?” a rimettere ogni cosa al suo posto. Ma probabilmente l’apice è “Execution”: il ritmo aumenta, l’elettronica si libera in volo e così le liriche. Abbiamo visto raramente un così stretto connubio tra dramma e leggerezza. Sarà, appunto, anche per le  tematiche affrontate in Hopelessness (guerra, violenza e pena di morte, oltre agli allarmi ambientali), ma l’incontro tra la meccanica dei suoni e l’umanità del cantato è di una potenza che potrebbe inibire chi ascolta. E forse ritorna quel pudore cui accennavamo: il dolore di “Drone Bomb Me”, esplicitato nel video con le lacrime di Naomi Campbell, è difficile da guardare in faccia. Infatti, ANOHNI è straordinariamente  intima anche quando è universale.

Questo è un disco su tutto il dolore del mondo, sulla speranza e l’assenza di speranza, sulle cose perdute e su quelle riaffermate. All’apparenza non sembra  un disco su di sé. Sembra un disco sui problemi degli altri, ma presi a cuore come fossero i propri e poi fatti diventare propri per davvero. In genere lo può fare una donna.