Fugazi – Repeater + 3 Songs

Acquista: Voto: (da 1 a 5)

Premessa doverosa: se i Fugazi sono diventati il punto di riferimento che sono, probabilmente è stata soprattutto la loro politica extra-musicale che li ha fatti arrivare dove sono. Idoli e massimo esempio della scena di Washington D.C., senza le loro dissidenze con il potere e con le case discografiche sarebbero stati un’ottima band e basta, non i trascinatori che sono stati e tuttora sono, padri di una nuova visione del punk, dell’Hardcore e della vita alternativa (i Fugazi sono infatti tra i più importanti “predicatori” della cultura straight-edge). E prima che imprechiate: la premessa non ha il fine di sminuire il valore musicale del supergruppo di Ian McKaye. Quello che la band riesce a fare con l’Hardcore esploso quasi dieci anni prima in tutti gli Stati Uniti è paragonabile alla riproposizione Punk dei Sonic Youth di Daydream Nation.

Repeater forse non ne è stato il momento più intenso da questo punto di vista né il primissimo esemplare, ma essendo lo sbocco naturale per due EP come l’omonimo Fugazi e Margin Walker, riesce ad incarnare tutto quello che ci divertiamo, dopo 10 anni, a chiamare Post-Hardcore. La cosa incredibile è che in questo album le radici musicali – radici enormi come quelle quelle riconducibili ai paladini Dead Kennedys – vengono soffocate con forza riprendendo le idee che la No-Wave newyorkese aveva già fatto proprie da più di un decennio. Ed il risultato è, per chi non si è mai affacciato a questa realtà, quantomeno inquietante: Punk Hardcore che abbandona l’estremismo delle velocità impossibili, e che, meraviglia delle meraviglie, è suonato divinamente.

Le chitarre di Picciotto e McKaye riescono a dialogare in maniera continuata anche quando i due creano dei muri sonori ripidissimi (vedi la title-track). Che su di questi si muovano anche delle riff e un cantato che sembrano provenire da una qualsiasi band-psico-adolesc(dem)enziale degli anni ’90, è un altro discorso. Ed una grandiosa follia. Quello che colpisce è che i Fugazi sono riusciti a creare più di dieci anni fa quella che è ancora la modalità più innovativa di accesso all’Hardcore. Per fare un veloce confronto, prendete Blueprint (traccia 5) e Shot in the Back dei Vaux. In più, implicitamente, nella prima stesura dell’album chiusa da Shut the Door, la band già ci diceva dove stava andando. Riff pieni, con un attitudine quasi spaziale, dilatata, asimmetrica e piena di cambi, con il cantato comunque dolorante e urlato che fa tanto Hardcore, che più hardcore non si può. Le tre tracce aggiunte alla seconda edizione del disco non tolgono né aggiungono nulla al discorso portato avanti dai Fugazi: una traccia sfacciatamente Punk (Break In), una sfacciatamente sperimentale (Joe #1), e il giusto mezzo tra le due (Song #1). Disco per tutti quelli che amano il punk e vogliono qualcosa che non offenda il loro intelletto. Praticamente per tutti.