Chi segue un certo tipo di house/disco music, sicuramente si sarà imbattuto nel Venezia More Festival. Nel 2015, anno di esordio del festival, la città lagunare ha ospitato nella piccola isoletta di San Sèrvolo, una serie di live e dj-set electro-house con nomi di un certo calibro: Âme, Dimitri From Paris, Erlend Øye e, fra gli altri, i veneziani Spiller e Bottin.
Un occhio poco allenato avrebbe glissato sopra questi nomi, mentre uno sguardo più attento sulle (poche) frequentazioni nazionali di questi artisti avrebbe indagato di più. Ed è quello che il sottoscritto ha fatto sia l’anno scorso sia quest’anno.
Mentre l’anno scorso il More Festival aveva tutta l’aria di un piccolo gioiellino circoscritto fra i canali veneziani, quasi per niente pubblicizzato ma perfettamente organizzato, quest’anno anche la componente pubblicitaria era pompata in maniera perfettamente adeguata.
Anche la qualità dei nomi ha subìto una decisa impennata: Is Tropical e Joakim erano i nomi di punta di giovedì 2 giugno, Kalabrese, Pachanga Boys e Horse Meat Disco hanno animato il venerdì, mentre il sabato si è puntato sulla derivazione electro-cosmica di Lindstrøm e Prins Thomas.
Interessanti anche i partner: i locali Cirq (veneziano dell’entroterra) e Wood (istituzione di Modena) hanno messo a disposizione le proprie crew per quello che anche nel 2015 era il fiore all’occhiello del festival: le feste in barca.
Tutta una serie di piccole attenzioni collocano direttamente il More Festival all’interno di un layout di festival tipicamente europei (ma vorrei dire maggiormente francesi ed inglesi o mediterranei): la comunicazione capillare, l’ottimo lavoro dietro ai social, la massima disponibilità per tutto quello che riguarda la sezione “press” – e su questo, si distanziano davvero nettamente da tantissime altre realtà italiane che credono di aumentare la propria caratteristica d’élite snobbando i rapporti con la stampa non istituzionale –, l’organizzazione all’interno dell’area-festival e i trasporti. Tutto all’insegna di una perfetta riuscita del festival.
Alle fermate dei vaporetti Zattere e San Zaccaria, la segnaletica è stata potenziata, i banner erano perfettamente visibili; tutta una serie di carnet fungevano da token ed evitavano il circolo di denaro liquido fra i bar e gli angoli ristoro e i battelli sponsorizzati Cirq e Wood facevano da collegamento con l’isola di San Sèrvolo con a bordo dei meravigliosi house party in tipico stile adriatico (se siete stati ai vari festival inglesi in giro fra Croazia e Grecia sapete a cosa alludo).
Lo spazio festival all’interno dell’isoletta di San Sèrvolo è incantevole. Un ingresso a loggia in stile lussuoso contemporaneo è collegato direttamente nel cortile interno. Un palazzo settecentesco a “L” (una volta adibito a ospedale mentale) con portico divideva in due le zone musicali: il main stage all’aperto e una zona indoor che avrebbe tirato avanti fino alle 4 di notte. Kalabrese ha sfoggiato una meravigliosa band ( i Rumpelorchester) da 6-7 elementi che ha riproposto live una selezione di brani personali e disco in perfetto stile seventies con contaminazioni elettroniche; un mix fra Chic, Sister Sledge, Todd Terje e Shapeshifter; carichissimi.
I Pachanga Boys, sempre nel main stage, hanno contribuito a spaccare completamente il resto, in senso positivo: un’ora abbondante di electro-house-balearica in pienissimo stile moroderiano, dai potenti arpeggiatori e dalla cassa dritta e avvolgente hanno fatto sì che gli artisti diventassero i veri protagonisti inaspettati della serata.
Situazione con imprevisti quella all’interno della zona indoor: i due dj Octopus e Steve Murphy si sono
cimentati per ore con della forte tech-house variando tremendamente il mood del festival. Il rischio era quasi quello di snaturare la vena primaverile e solare del festival tanto che i ragazzi della Horse Meat Disco erano preoccupati proprio perché avrebbero dovuto sostituirli in scaletta. Poco importa perché James Hillard e Severino sono partiti subito in quinta coi loro migliori cavalli di battaglia disco: Teddy Pendergrass, Lorraine Johnson, Debbie Jacobs fra le varie Diana Ross e altri brani in stile decisamente più house 90s. Fino alle 4 del mattino dove tutta l’isola si è ribaltata al suono di Blue Monday, segno il confine fra le varie tipologie di disco è davvero labile e mobile.
E poi l’ultimo giro nei boat-parties, attraccando verso la fine della nottata. Davvero il respiro di un’aria internazionale.