Blood Orange – Freetown Sound

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“We All Wanna Be Prince”

Era il titolo di una canzone del 2009 di Felix Da Housecat e l’affermazione è valida anche oggi. Blood Orange, l’artista precedentemente noto come Lightspeed Champion, è Devonté Hynes. E Dev è uno che con Prince ha svariati punti di contatto. Ma di certo non possiamo ridurre la carriera pop, R’n’B e funk a nome Blood Orange ad un posizionarsi rispetto a Prince. Probabilmente, uno dei dettagli che li accomuna è il rapporto con il “femminile”. Sia inteso in maniera più estensiva (crocevia tra i concetti di amante, di musa e di alter ego) che come semplice impiego delle doti di musiciste affermate o in via di emersione. Si pensi a ciò che sono state Sheena Easton, Jill Jones, Sheila E. per Prince.

In questo Freetown Sound, Devonté palleggia il microfono con una serie infinita di principesse e di muse. Risalta, per esempio, la brillante prova di Empress Of (Lorely Rodriguez), coautrice di “Best To You”. Una canzone che per le soluzioni ritmiche, starebbe altrettanto bene in un nuovo disco della losangelina. Poi ci sono nomi grossi come quelli di Nelly Furtado, Carly Rae Jepsen e Debbie Harry. Quest’ultima appare su “E.V.P.” che è un umido funk barra hip hop, con lei che è capace ancora di farci stare come ai tempi di “Rapture”. Tra i nomi meno pesanti ci sono Bea1991, Ava Raiin e Zuri Marley (che di pesante ha comunque il cognome, essendo la nipote di un certo Bob).

Ma Blood Orange ci aveva soprattutto affascinati nel 2013 con quel gioiello di singolo chiamato “You’re Not Good Enough”, con ospite Samantha Urbani, sua compagna fino a poco fa. Scorrendo le tracce di Freetown Sound c’è la paura di non ritrovare un pezzo pop definitivo come quello. Vero che l’album si pone comunque in continuità con Cupid Deluxe, il disco che lo conteneva. La continuità la troviamo, ad esempio, nella scena da cui Devonté attinge i collaboratori (Adam Bainbridge in arte Kindness e Patrick Wimberly dei Chairlift). C’è continuità nei rimandi biografici di Devonté: l’origine inglese, la New York sognata, quella vissuta, le lontane terre degli avi. E poi nei temi: l’orientamento sessuale, le lotte civili, le prevaricazioni, le battaglie quotidiane, la libertà.

E quando, traccia dopo traccia, ci si è quasi dimenticati dell’ombra di Prince, arriva il colpo che ci spiazza: “Better Than Me” è una “I Would Die 4 U” di simile statura, con la stessa immediatezza e che gira sullo stesso circuito ritmico e vocale. Poi, in un sol colpo è anche (fin dal titolo) la cosa più vicina a “You’re Not Good Enough”. E allora, daccapo, si torna indietro e poi ancora avanti in questo che volutamente assomiglia a un mixtape. Viene da rileggere Freetown Sound tante volte quanto gli spunti e i piani di lettura ci suggeriscono di fare.

È un disco politico, intimo, orgoglioso e leggero. Non si finisce mai perché c’è dentro la vita di un tizio, non solo la sua arte di musicista. E che qui dentro ci sia la sua vita lo suggerisce anche una piccola assenza: tutte quelle cantanti e nemmeno un minuto con Samantha Urbani.