Intervista a Elliott Murphy: Quattro chiacchiere e una tazza di caffé…

  • Rocklab – Caro Elliott, anzitutto grazie davvero per averci concesso quest’intervista. Ho avuto la fortuna di essere presente al tuo show a Bergamo (lo scorso 15 aprile) e acquistato lì la tua ultima uscita, la compilation “Never say Never”. Come prima domanda, ti chiederei quindi di farci una breve presentazione del CD. In particolare, ci piacerebbe sapere come tu hai scelto i dieci vecchi brani, se sei particolarmente affezionato a uno di essi in particolare.
  • Elliott Murphy – “Never say Never” è attualmente la mia terza compilation – la prima fu “Diamonds by the Yard”, che copriva i miei anni ’70, cui seguì “Going through something”, riguardante gli anni ’80 – e si occupa della mia musica lungo l’arco degli ultimi dieci anni. Questo è stato un periodo davvero importante per me, perché ho trovato in esso le energie e l’ispirazione per scrivere un sacco di pezzi e registrarli, e siamo praticamente stati sempre “on the road”. E i fans non facevano altro che aumentare e aumentare. Inoltre, delimita il tempo che ho passato a suonare con Olivier Durand, un chitarrista davvero in gamba che ha contribuito davvero molto alla mia musica in questi ultimi tempi. È stato difficile scegliere le dieci canzoni dai vari album, perché volevo anche aggiungere alcune nuove canzoni. Abbiamo registrato quattro nuovi pezzi appositamente per “Never say Never”. Penso che il brano che personalmente mi colpisca più nel profondo sia “My father’s house”, perché è stata dapprima un sogno, e in seguito l’ho scritta sul furgone mentre attraversavamo le alpi italiane, dalle parti di Trento.
  • R – E a proposito dei nuovi pezzi… la title-track è semplicemente meravigliosa, ma all’Auditorium sembravi particolarmente fiero di “Dirty Old Man”, il pezzo che hai dedicato a Charles Bukowski…
  • EM – Bè, mi piace scrivere canzoni sugli scrittori. Ne scrissi una su Jack Kerouac (“The Ballad of Sal Paradise”) e anche su Francio Scott Fitzgerald (“Like a Great Gatsby”), quindi perché non una su Bukowski? Penso che sia la dote di troubadour che c’è in me, che ama collegare il passato col presente e celebrare grandi uomini e donne attraverso la musica. Una delle prime che canzoni che abbia mai imparato, quando avevo dodici anni, era sul bandito Jesse James.
  • R – Ho letto sulla sezione “concerti” del tuo sito Internet che tu sei «quasi sempre in tour». Ho letto questa cosa con molto piacere, poiché abbiamo avuto molte discussioni sui concerti su RockLab: molti di noi pensano che al giorno d’oggi vi siano troppi musicisti che vogliono solo registrare in studio, essendosi perso il piacere di suonare dal vivo. Per fortuna ci sono ancora molti artisti come te, che sembrano quasi non poter vivere senza fare concerti, ma ci sembra che siate sempre meno. Sei d’accordo con noi, o forse vedi uno scenario meno drammatico?
  • EM – Io amo il palco e immagino proprio che non potrei vivere senza di esso. Ma d’altro canto, mi sto abbastanza stancando di viaggiare, e sono un po’ nervoso quando prendo l’aereo. Tuttavia ho iniziato facendo il musicista in tutte le band in cui sono stato da teenager e il grande obiettivo era far pratica e suonare al ballo finale della scuola. Non ho mai sognato davvero di registrare un disco. In questi giorni, i miei fan sono il mio più grande tesoro e sono loro la mia ispirazione a puntare sempre più in alto. A volte suoniamo per quasi quattro ore! Sarò pazzo, ma quando ci sono dentro mi sembra come di stare in un paradiso elettrico!
  • R – Ti sei trasferito a Parigi dagli USA e sei fiero di essere sempre in giro per l’Europa. C’è un libro che amo particolarmente, intitolato “Anatomia dell’irrequietezza”, di Bruce Chatwin: egli si definì con una frase di Nietzsche come «un uomo che ama pensare camminando ». Per te è lo stesso? Volevo farti questa domanda perché ho visto che sei una persona piena d’interessi e sempre in viaggio… o invece hai bisogno di una pausa per raccogliere le idee e dar vita alle tue opere?
  • EM – Ho letto “In Patagonia” di Chatwin, ed è da allora che voglio andare in quel posto. Yeah, scrivo moltissime canzoni e storie quando sono in giro. Infatti, ho scritto un’intera collezione di racconti brevi intitolata “Note di Caffè”, mentre me ne stavo seduto in vari Café in giro per l’Europa e gli Stati Uniti. Il fatto è che una volta che tu inizi a muoverti, è dura fermarsi. Immagino sia questo il motivo per cui i Rollino Stones, Bruce Springsteen e Bob Dylan continuano ad andare in tour. Ma poi io ho bisogno di avere un po’ di tempo a casa da solo, senza parlare con nessuno e lasciando che tutto si rimetta aposto nel mio cuore e nella mia anima, e quindi raccogliere le energie per uscire ancora. È una vita simile a quella di un marinaio nel tempestoso mare delle canzoni…
  • R – Bene, abbiamo appena parlato di libri e scrittori, cosa ci puoi dunque dire sulla tua attività come scrittore e giornalista? Non ho ancora avuto la possibilità di leggere “Note di Caffè”, che hai presentato a Bergamo, ma sembra un libro davvero interessante, ti prego dunque, dicci qualcosa in più a riguardo.
  • EM – ”Note di Caffè” è venuto fuori grazie alla mia vita da girovago e a tutto quel tempo che ho passato nei café in attesa di andare da qualche parte, osservando semplicemente la vita che si svolgeva attorno a me. La mente ama mettere le cose in ordine scrivendo, e così se solo inizio a buttar giù su un foglio le mie osservazioni, so che la prossima cosa che sto scrivendo è una specie di storia. Ho sempre amato scrivere storie, e quando ero un bambino era per me ancora più divertente che giocare a football o qualsiasi altra cosa. Il mio nuovo romanzo “Poetic Justice” nara la storia di un killer che amava la poesia nel vecchio West americano e sarà disponibile in Italia l’anno prossimo, spero.
  • R – Nel corso dell’anno passato sono uscite alcune interessanti autobiografie – mi riferisco a “Inside Out” di Nick Mason e a “Chronicles vol. I” di Bob Dylan – hai mai pensato di scrivere la tua? Potrò sbagliarmi, ma ho il presentimento che mi dirai che è ancora troppo presto…
  • EM – Invece dovrei proprio iniziare a scriverla adesso, visto che sono ancora in grado di ricordarmi ogni cosa. Penso di aver vissuto almeno tre vite, e la mia musica è sempre stata il fiume che scorre attraverso ognuna di esse. Ho intenzione di scrivere molto quest’estate, e potrei iniziare anche le mie memorie. Sì, è probabilmente giunta l’ora…
  • R – Alcuni anni fa tu sei stato in grado di diventare un artista totalmente indipendente, dopo esserti separato dalla Columbia. Immagino sia stata una scelta dura, ma ho letto molte tue considerazioni su quel periodo e ho capito che tu hai sempre avuto fiducia nella tua arte e in te stesso, anche nei momenti più difficili. Poiché oggi l’industria discografica sembra davvero passare un brutto momento, pensi che un percorso artistico e umano come il tuo possa essere la scelta migliore per dei giovani musicisti, che vogliono essere indipendenti e onesti nei confronti della propria arte?
  • EM – Io sono stato fortunato ad aver fatto una manciata di album per delle major negli anni ‘70 e ’80, perché senza quel tipo di promozione a quei tempi sarebbe stato difficile diventare una rtista indipendente. In tutta onestà, è davvero molto più facile diventare un artista indipendente, piuttosto che iniziare come tale. Ma nonostante tutto, non sono mai sceso a compromessi con la mia musica, e mai nessuno si è sognato di chiedermelo. Penso invece che ci siano un sacco di musicisti che si vendono per la fama e i soldi, senza che nessuno faccia davvero pressione su di loro. È un naturale istinto umano e non mi metto certo a rimproverarlo a nessuno. Se avessi potuto scrivere qualche stupido pezzo da hit parade, forse l’avrei fatto, ma non sapevo come farlo! Ancora oggi non so come potrei!
  • R – Una domanda classica ora… come hai incontrato Olivier Durand e Graziano Romani? Ammetto che non sapevo chi fosse Graziano prima dello show a Bergamo, ma sono rimasto davvero impressonato dalla sua voce. La jam finale che hai fatto con loro e Fabrizio è stata davvero fantastica!
  • EM – Ho incontrato entrambi nella stessa maniera: presentati da famosi critici rock. Olivier fu condotto da me da Jerome Soligny, un assai noto scrittore rock francese. Lui sapeva che stavo cercando un chitarrista e che avevamo le stesse influenze. Incontrai Graziano grazie ad Ermanno Labianco, che scriveva per “Il Mucchio Selvaggio”. Duettammo in “Wild Horses” per un album del suo vecchio gruppo, i Rocking Chairs. La sua voce continua a migliorare nel tempo.
  • R – Ok, eccoti dunque l’ultima domanda! Ho letto del tuo progetto “Murphy gets Muddy” e l’idea di un album blues ad opera di Elliott Murphy mi ha subito eccitato. Immagino che il titolo sia un tributo al grande Muddy Waters ma anche a tutta la grande musica «che è emersa dal fango del Mississippi», tanto per citare quella gran canzone di Willy DeVille. Mi ricordo inoltre di una splendida frase che hai pronunciato durante il concerto, all’incirca era «because every rocker, if he gets old enough, at the end turns into a bluesman». Quindi, cosa puoi dire a tutti gli amanti del blues di RockLab su questo disco? Cosa ci possiamo aspettare?
  • EM – Ci sono canzoni di Muddy, di Slim Harpo, B.B. King e tanti altri grandi bluesmen, e io stesso ho scritto un paio di blues, saranno 14 pezzi in tutto. Sono davvero orgoglioso di questo disco, perché è un tributo a tutti i grandi bluesmen. Il rock ‘n roll ha cambiato la mia vita, ma senza il seme del blues, il grande rock non sarebbe mai cresciuto. Che Iddio benedica Muddy Waters!
  • R – Bene, spero di non aver rubato troppo del tuo prezioso tempo! Voglio solamente rigraziarti ancora, sperando di rivederti presto in concerto, dato che ho visto che hai ancora molte date in programma in Italia!
  • EM – Nessun problema! Belle domande!