Dopo aver parlato del loro esordio omonimo, abbiamo deciso di scambiare due chiacchiere con i Barely Awake. Nell’intervista : passato, presente e futuro della band Pesarese.
Capita spesso alle giovani band emergenti, cariche di sogni e capelli decolorati di imbattersi nelle consuetudini e pregiudizi dei promoters. Insomma, ci raccontate di quella volta che, ancora minorenni che vi hanno pagato per non suonare? Che detta così in effetti suona malissimo.
Incomincio dicendoti che se oggi dovessi imbattermi nei Barely Awake di quella volta molto probabilmente non ci penserei due volte a cacciarli via a pedate, e senza neanche spendere un centesimo! Eravamo il tipico gruppo di sedicenni che pensa di prendere in mano uno strumento e poter cambiare il mondo, e ci eravamo imbattuti nel tipico promoter che non sa molto bene come fare il suo lavoro. Comunque ecco come andò veramente: Un nostro amico aveva fatto il nostro nome al suddetto promoter, che si era fidato senza chiedere troppe informazioni. Così il giorno del concerto carichiamo tutta la roba sulla macchina di un nostro amico con la patente e ci presentiamo al locale. Appena arrivati già sentivamo che qualcosa non andava. Vediamo che il promoter si mette a discutere con gli altri collaboratori e dopo un’attesa snervante finalmente viene da noi e ci dice “ragazzi c’è un problemino dobbiamo parlare”. Il problemino era che l’ingresso alla festa era vietato sotto i diciotto anni e di noi quattro solo uno era maggiorenne! L’altro problemino (non esplicitato) era che la sua festicciola avrebbe fatto una brutta figura ospitando degli elementi bizzarri come noi (che ci sta!). Così senza dilungarsi troppo ci fece ricaricare la roba in macchina e ci diede 50 euro per lo sbattimento. Caricammo tutto e la sera spendemmo i soldi per ubriacarci.
Se non sbaglio, prima di questo full length ci sono stati due Ep, ma non solo, anche tanta esperienza internazionale. Come fu portare la vostra musica in giro per l’Europa, avete qualche aneddoto da raccontarci?
Andare in tour è sempre bellissimo. Organizzarli da soli lo è un po’ meno, soprattutto la prima volta, è stato difficilissimo e snervante. Ma parte del piacere di andare in tour è anche quella di vedere realizzarsi qualcosa che hai costruito con le tue mani. Partire per destinazioni sconosciute per incontrare gente con cui hai solo fatto due parole via mail è sempre una scommessa, poi però arrivi al locale, suoni e ti senti sempre a casa.
Siete partiti con un suono abbastanza pesante, poi stemperato col tempo: quando avete scoperto la melodia?
Circa due anni fa abbiamo cominciato a scrivere i brani contenuti nel nuovo album, all’epoca ancora Jiang Lee cantava, o meglio, urlava con noi. Più i nuovi pezzi andavano costruendosi e più ci rendevamo conto che la voce urlata costituiva una limitazione per il nuovo sound, e così abbiamo deciso di abbandonarla, tornando poi alla nostra prima formazione. Sì, la stessa che 6 anni prima era stata pagata per non suonare.
Recensendo il vostro lavoro, oltre allo sviluppo del lato melodico, ho riscontrato una certa incidenza di band come Mars Volta e Faith No More. Diciamo che avete scelto di ispirarvi al meglio.
Ci fa molto piacere essere paragonati a band come Mars Volta, Faith No More, At The Drive In, sono tutte band che stimiamo moltissimo. Tuttavia ad essere sinceri le nostre influenze sono tutt’altre. Ascoltiamo molti classici del rock anni 60-70, Beatles per primi. Poi ovviamente Pink Floyd, Jefferson Airplane, The Doors, tutta la cultura rock psichedelica di quegli anni. Ascoltiamo anche molta funky, disco vecchia e nuova: Il disco più ascoltato in furgone durante l’ultimo tour è All ‘N All degli Earth Wind And Fire. Anche tutta la cultura grunge ci ispira molto, Melvins, Nirvana, Pearl Jam, Smashing Pumpkins. I Radiohead sono un’altra band che ci ha aperto un mondo. Poi a fare la sua parte c’è anche tutta quella musica che ascoltavamo e suonavamo quando eravamo più piccoli: chi viene dall’hardcore-punk, chi dal punk-rock, chi dal crossover, metal, etc etc. Non so spiegarti il perché di questo accostamento ai Mars Volta, forse abbiamo avuto gruppi simili nell’Ipod!
L’apertura di “Aerials” è puro distillato di Dinosauro(Jr). Quanto la cultura Eighties influenza la vostra scrittura?
È vero, per la scelta dei suoni di Aerials abbiamo voluto un po’ richiamare quelli della scena Eighties, ma anche Nineties soprattutto per l’uso degli effetti: i chorus tremolanti nelle chitarre e il buon vecchio Big Muff nel basso.
La cover dell’album è bellissima e so che è opera vostra. Che messaggio volevate dare e chi se ne è occupato fisicamente?
L’artwork è stato realizzato da Rico, nostro bassista, con l’aiuto di Lollo e Franci che hanno realizzato le illustrazioni all’interno del poster. La cover dell’album è strettamente legata al significato dei testi. Il disco parla del rapporto tra l’uomo e tutto ciò che lo circonda, il suo modo di agire e di pensare. Il mondo è chaos e l’uomo per sua natura tenta di riordinarlo, chiamando questo ordine instabile “progresso”. Ma quello che chiamiamo progresso è davvero un muoversi nella stessa direzione dell’universo, o forse in senso contrario? Forse bisognerebbe provare a fare un passo indietro, guardarci dentro e chiederci chi siamo davvero, che ruolo abbiamo in questo universo. “Demolire per costruire” è il filo conduttore del disco, demolire le proprie certezze per trovare le verità assolute.
L’ispirazione per la copertina viene da un indovinello che trovammo tempo fa in un libro. In breve parlava di quest’uomo che rinchiuso in una prigione nel mezzo del deserto deve trovare il modo di uscirne. La prigione è costruita per una sola persona, è molto alta, a pianta circolare e murata lungo tutto il perimetro, una sorta di torre con il classico tetto a cono rovesciato. L’unica apertura è un foro nel mezzo del tetto, sufficientemente grande perché l’uomo ci passi, ma decisamente troppo in alto per raggiungerlo.
Dopo giorni che non riceve da mangiare l’uomo deve trovare il modo per uscire, così ha un’idea geniale: scava un buco nel terreno ed esce dal buco sul soffitto. Com’è possibile? Ovviamente ti risparmio di scervellarti a trovare la soluzione; la risposta è: scava una buca, forma una montagna con la terra presa dal terreno e la usa come rampa per raggiungere il soffitto. Ed è proprio ciò che rappresenta la copertina, una buca e una montagna: “demolire per costruire”; fare un passo indietro per poterne fare altrettanti in avanti.
laSo che costruzione della band è figlia di passioni comuni e grande amicizia, come nasce il tutto?
Partendo proprio dalla preistoria il tutto nacque dall’incontro tra me (Richard) e Franci ad un concerto della parrocchia all’età di 14-15 anni massimo. Io entrai a far parte del suo gruppo, i Gestalt, che all’epoca scrivevano canzoni pop-rock in italiano! Poi più avanti gli feci conoscere anche Lollo, l’attuale chitarrista e mio amico di infanzia. Solo più tardi entrò Diego a sostituire il vecchio batterista, che era amico di Lollo fin da piccolo. In quel periodo cambiavano un po’ i gusti musicali e cominciavamo ad avvicinarci all’emo-core/metal-core, sempre con quel che di progressive che con un batterista come Diego era inevitabile! Di lì a poco prendemmo Giulio Letizi come screamer e andammo a registrare la nostra prima demo di tre pezzi allo Studio Waves di Paolo Rossi, quando ancora era un computer messo dentro un garage quattro metri per tre, che poi ora è diventato la nostra sala prove! Ce ne sarebbero di altre cose da raccontare rischierei di dilungarmi troppo!
Immagino che la promozione dell’album proseguirà in sede live, quali sono le vostre prossime date?
Al momento abbiamo un tour di due settimane in Russia fissato per maggio. È la nostra prima volta in Russia e siamo molto emozionati a riguardo. Poi ci saranno altre date in Italia, e speriamo molti festival quest’estate. Stiamo cercando una booking che ci aiuti un po’ con la promozione live sul territorio italiano perché, per assurdo che possa sembrare, abbiamo sempre avuto più difficoltà a trovare date in Italia che all’estero.