Cosa ne sappiamo noi di come si gestisce una band da stadio? Nulla. Dave invece lo sa fare benissimo, e gli viene tutto tremendamente naturale. E non c’è malizia, lui è così, un tipo solare, un giocherellone del R(u)ock, oltre che un ottimo batterista: oggi dovremmo dire “cantante” visto l’avvicendamento pressoché consolidato alle pelli con Taylor Hawkins.
Una perfetta macchina da fan, merce preziosa per le radio americane e per le nostrane Virgin/Radio Freccia degli slogan: “Libera come noi” e altre descrizioni da pausa pubblicitaria su quale significato detenga il far parte di una nicchia.
Interessante notare, come all’interno di tutto questo concetto newageiano del Rock’n’roll sia praticamente assente il dolore. Certo, Dave sorride, lui non può farne a meno – e poi ne ha assorbito abbastanza nell’epopea vissuta con i Nirvana –, ma i suoi giovani fan? Da qui un’altra domanda: ve lo ricordate il Christian Rock? Non quello di Larry Norman, piuttosto i P.O.D. Forse si, e vi ricorderete anche qual era il mood: facce pulite che la droga fa male, il Rock come una festa per jeans firmati e bevande analcoliche, al massimo svapiamo – oggi, che ieri erano gelati e liquirizie. Bene, ora fate cinque minuti di silenzio in onore di Bo Diddley.
Sei snob, siete snob. Si che lo siete. Forse, ma il nuovo capitolo della saga del funny Grohl “Concrete And Gold” (Nomen Omen) si presentava come “Motörhead’s version of Sgt Pepper” oppure “Slayer making Pet Sounds” (si ok, nessuno ci ha creduto neanche per un secondo), che tradotto diventa: ragazzi facciamo la stessa cosa ma ci gettiamo dentro qualche effetto psichedelico di tanto in tanto. Che se ci pensate non è neanche questo il punto, la vittoria vera è del marketing.
Forse una questione di equilibri di forma che nei Nirvana vedeva stabilizzare il forte impatto distruttivo del biondo Cobain. Li si funzionale, qui ragionamento per accumulo: l’idea era quella di costruire uno studio completo sul palco al Bowl di Hollywood e registrare un album in una notte davanti a un pubblico di 20.000 persone. Decisamente troppo. Però, alla fine si è trovato il tempo di ficcare Paul McCartney a suonare la batteria in un brano, tipo: “lo ringrazio per avermi iniziato a questo splendido strumento” (fake). Schiaffarci un Justin Timberlake impalpabile, vi giuro che c’è, e mettendoci un po’ di figa – la bellissima Alison Mosshart dei Kills. Alti (“Run“), ma non altissimi, e bassi (“The Line“), ma non bassissimi, in un impianto sornione che ammicca talvolta a dei Black Keys sovradimensionati “Sky Is A Neighborhood”, e altre alla passione per la musica “pesa” del nostro, sempre e irrimediabilmente tenuta per le briglie (“Run”, “La Dee Da”).
Quindi, di che forma è fatto il nuovo album dei Foo Fighters? La stessa. E il colore? diremmo giallo. E il nero? Quello l’abbiamo perso nel 1997, di lì in poi tutta discesa, e levate quel parental control.