Mount Kimbie – Love What Survives

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Se passeggi per le mille strade di Londra riesci a percepire un costante flusso fluorescente di energia risucchiare la città. È una vita elettronica, per chi riesce a essere al passo della sua costante evoluzione: un processo interno di ripiegamento, ammassamento e ingrandimento di volume corporeo. Potrebbe sembrare nascosto questo magnetismo intellettuale che invece esacerba il piattume di una città al confine con tutto e nulla, su un’isola anch’essa al confine con tutto e nulla. Di recente si usa il termine liquido per descrivere il continuo mutamento di condizioni prive di riferimento, ma questa città è un terremoto costante: un continua affermazione e crollo dei canoni. I Mount Kimbie anche si confrontano, tramite la loro musica elettro-laconica, con ciò che adesso Londra sembra suggerire.

Love What Survives è un lavoro che non sa più di Four Tet o Burial centrifugati nel giovanile ed eccentrico Crooks & Lovers. Si arriva, invece, a una stanchezza mitologica dell’elettronica che si fa compagnia, nel prendere una birra, con un po’ di amici che passano negli studi di registrazione a qualche zona di distanza. Spiccano James Blake e King Krule, compagni di lunghissima data: il primo nato nella stessa città che si vede nel video di Carbonated, l’altro non si sa bene, ma per Londra ci passa sicuramente molto. E tutto sfuma col pop dell’immediatezza, ma non è un’immediatezza di contemporaneità. Ultimamente mi ritrovo sempre più di frequente a confrontarmi con piccole piazze olandesi, a due passi dalla Germania. Ebbene, arrivati alla piazza del mercato, si ha l’impressione di essere finiti in un luogo di transizione: esteticamente impeccabile, appena scartato e liberato dal polistirolo, sporcato quel minimo dalla presenza di qualche foglia pesta, ma comunque manchevole di fisicità della presenza, del sentirsi in un luogo storicamente vissuto e non in una sala mostra.

Il nuovo lavoro dei Mount Kimbie è pop in questo: ciò che rimane stranamente non sono detriti ma canzoni ben costruite, vicine al mondo dubstep e oltre, che non sanno rendere la febbricitante attività culturale che esce dai confini di Seven Sisters, North London. Del resto, ammette Dom Maker, «I don’t actually listen to that much music outside of working, at all» (The Fader). Al momento mi passano per le orecchie dei suoni così fottuti da Regina (Canada), attraverso le distorsioni live dei wormwood, che tutto quello che si possa avvicinare alla leggerezza con un tono così superficiale sa anche di superfluo. Per quanto ci sarà sempre qualcuno pronto a dire il contrario: «What I think is pop in our music is that there’s a simplicity to it and a directness to it. That’s what I’m trying to do anyway; any time that there’s a choice between a simple idea and a complicated idea, I like to go with a simple one» (vedi sopra).

Data:
Album:
Mount Kimbie - Love What Survives
Voto:
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