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…e come volevasi dimostrare, la Relapse ha fatto ancora centro.
Dopo quello dei Nasum, ecco qua un altro attesissimo ritorno, quello degli americani Dying Fetus.
Poco importa se il mastermind Jason Netherton se n’è andato, John Gallagher, ora voce e chitarra, non fa affatto rimpiangere il suo predecessore, questi tre anni d’attesa per i fan sono stati eccezionalmente impiegati.
Il successore del fortunato “Destroy the Opposition” si dimostra decisamente all’altezza di quest’eccezionale album del 2000. Death metal dalle forti tinte thrash anni ’80 e reminescenze grindcore, brutale e devastante ma assai ragionato, ora nelle musiche e ora nelle lyrics, ancora una volta terribilmente caustiche nei confronti del “sistema” americano, del denaro, della chiesa e di tutti i mali della società moderna (non c’è da stupirsi che siano fra i gruppi più impopolari degli States…). Otto pezzi di elevatissima fattura, che forse non dicono nulla di nuovo in questo genere ma che nel contempo non danno alcuna sensazione di “deja-vù”.
Nessun compromesso, in ogni senso.
L’attitudine ribelle contro tutto e tutti dei Dying Fetus si riflette perfettamente in quest’album, che può vantare anche di un artwork a prima vista semplice, ma con delle immagini cariche d’impatto senza però scendere nello scabroso o in eccessi gratuiti vari.
Sicuramente la migliore uscita in campo death metal di questo 2003 (finora assai povero a dire il vero), probabilmente avvicinabile solo dagli immensi Cryptopsy, se mai riusciranno a sfornare il nuovo studio album entro l’anno.
Consigliatissimo a tutti gli amanti del genere, è oltretutto la splendida prova di un gruppo che, dopo anni di onorata carriera underground suonando ferocissimo grindcore, ha saputo trovare più ampi riscontri di pubblico senza perdere la propria identità.