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Mi è difficile trovare parole per descrivere la bellezza di “From within”, penultima fatica degli svedesi Anekdoten, è uno di quei classici dischi per cui mi verrebbe da dire: «abbiate fede e ascoltatelo, non ve ne pentirete». Ma cavarsela così non è giusto, anche perché mi dareste giustamente dello scansafatiche.
Innanzitutto è meglio presentarveli un po’: Jan Eric Liljestrom (basso, backing vocals), nonché autore delle lyrics, Niclas Berg (voce, chitarra e tastiere), Peter Nordins (batteria, vibraphone) e Anne Sofi Dahlberg (tastiere, violoncello e backing vocals); quest’ultima non compare nell’album ma è stata inserita ugualmente nei credits, un giusto tributo al lavoro svolto nel corso degli anni con la band secondo gli altri membri. La band è attiva fin dal 1990 e nel corso degli anni, grazie alle sue reminescenze crimsoniane (inizialmente si chiamavano King Edward e suonavano cover del progetto di Fripp) rielaborate in chiave moderna riesce a guadagnarsi lo status di band di culto in ambito progressive.
“From within” è la terza fatica in studio dei nostri ed è un album in cui sembrano fondersi alla perfezione i King Crimson di “Starless and Bible Black” e “Red” con una delle migliori leve del rock degli anni ’90, ossia i Radiohead, soprattutto grazie a Niclas che da Thom Yorke sembra voler prendere tutta la carica emotiva e drammatica. Grande passato e futuro del rock che si incrociano dando vita a una creatura eccezionale, inimitabile.
L’album si apre colpendo diretto: l’intro di “From within” è alle soglie dell’hard rock per via dei pesanti riff di Niclas e il martellante basso di Jan, ma le atmosfere si fanno tutto d’un tratto più intime, malinconicamente dolci e notturne. La voce di Niclas sembra volerci cullare… e in effetti questa è quasi una ninna nanna che ci apre alla contemplazione di questa “golden… mighty city”, ancor più splendente sotto il cielo notturno, è un viaggio che ci conduce lentamente all’esplorazione della nostra interiorità, grazie al climax favorevole creato dal mellotron e dal violoncello.
“Kiss of life” è invece improntata su riff più pesanti e vocals fortemente espressive, un pezzo dinamico e coinvolgente, vitale come il titolo ci lascia dedurre. La terza traccia, “Groundbound” è posta in perfetto contrasto, improntata com’è su atmosfere più soavi e sognanti, merito dei “caldi” mellotron e di Niclas, che si scatena verso la fine in un riffing crescente dal forte sapore Crimsoniano, per poi riprendere nuovamente le vocals chiudendo il pezzo, anzi, interrompendolo di botto.
Inizio pesante anche per “Hole”, che in seguito si modula grazie ai mellotron su atmosfere più morbide: gli Anekdoten giocano molto sull’alternanza della maestosità glaciale delle loro chitarre con le atmosfere più calde dei mellotron, con Berg a fare da tramite fra i due momenti con la sua voce. Una geometria che in questo pezzo – è il più lungo coi suoi undici minuti di durata – rende alla perfezione, con una lunga parte centrale in cui le atmosfere raggiungono il massimo climax, che ci ipnotizzano portandoci lontano con la mente, là in Scandinavia, fino all’esplosione finale, che riprende l’inizio della canzone per poi interrompersi in fading e ci risveglia dal sogno.
“Slow Fire” si rivela il secondo momento più “heavy”, sebbene sempre i riff poderosi siano sempre ammorbiditi dai mellotron, il cui ruolo è fondamentale nel sound di questa band, che mai rinuncia a momenti capaci di regalare autentiche esperienze oniriche.
A fare da contrappunto ci pensa la seguente. L’inizio di basso di “Firefly” coadiuvato dalla chitarra e dal lievissimo piano accompagna delle vocals diverse rispetto alle precedenti, non più improntate secondo il “modello Yorke”, ma secondo canoni quasi folk a tratti, meno drammatiche ma parimenti intense.
Al campionamento iniziale e monotono nell’unica strumentale dell’album, “The Sun Absolute”, si aggiungono dopo poco una lievissima chitarra e il basso, che le consentono di svilupparsi in maniera più complessa avvolgendoci in melodie ipnotiche e a tratti inquietanti.
Una lieve, quasi impercettibile chitarra acustica ci introduce in “For Someone” e la accompagna per tutta la durata assieme ai mellotron. Una ballata intimista e strappalacrime, pregna di nostalgia e atmosfera nonostante sia il brano meno complesso dell’intero album. Che con essa si conclude, purtroppo.
Rileggendomi la recensione non riesco ad essere soddisfatto: album come questo, come ho già detto, vanno ascoltati e amati, e le parole non sono necessarie più di tanto quando a parlare direttamente al cuore è la musica. Altro non posso fare se non consigliarvi di ascoltare al più presto quest’album, magari in attesa del nuovo “Gravity” la cui recensione la trovate nell’archivio.