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Questo è il quarto capitolo della carriera solista dell’ex vocalist dei Genesis.
La rottura con la band allora capitanata da Phil Collins, non fu per niente facile. Ma il buon Peter ne uscì alla grande, portandosi dietro e sviluppando in maniera esponenziale il suo già affermato talento.
E in questo momento, so solo che….. quando faccio l’urlo, è l’attimo, è l’attimo esatto in cui Jung in Africa sente la paura crescergli dentro… per il resto, sono solo alla fase di improvvisazione, alla ricerca di suoni nuovi… Queste sono le parole di Peter quando cerca di descrivere il suo acchiaggiante ed evocativo urlo che fa da colonna portante all'”orgasmo” percussionistico della opener “The Rhythm of the Heat”. Si così si apre questo disco, con questa canzone impregnata d’Africa e delle sue imponenti percussioni che fanno vibrare la voce di Gabriel all’ossessionante ritmo dei timpani. Ascoltandola nella nostra testa appariranno degli indigeni intorno ad un fuoco intenti a battere le loro pelli, mentre i cori tutti intorno ci fanno presagire al peggio, infondendoci un senso di inquietudine, probabilmente dai cespugli intorno a noi esce qualcosa o qualcuno che ci fa scappare di corsa…. sfrecciamo tra gli alberi, il respiro si fa affannoso, i timpani prendono il sopravvento e cominciano a diventare assordanti, il cuore batte a mille, la testa è pervasa di sensazioni angosciose. Poi d’improvviso finisce tutto. Forse è questa l’immagine che voleva comunicare Peter, e per quanto mi riguarda ci è riuscito con in modo perfetto, in questa che è probabilmente il primo e il miglior capitolo dell’album.
In “San Jacinto” Peter ritorna più nella “forma canzone” sempre con una voce in condizioni straordinarie. Quello che ci vuole comunicare in questa canzone è una diretta critica alla cultura dell’uomo bianco, prendendo a spunto l’incredibile contrasto tra le riserve indiane, i paesaggi mozzafiati appunto di San Jacinto, e le ville Hollywoodiane, cercando di guidare l’uomo moderno alla riscoperta di quei valori.
Si segue con “I Have the Touch” che è un’altro capolavoro dell’album. Anche in questa canzone la mira è all’uomo “moderno” e i suoi ritmi sfrenati, cito un passaggio del testo “scuoti le mani, scuoti le mani, mi tocco il mento e i capelli, mi gratto il naso, mi raggomitolo, bere, mangiare, fumare, non mi calmano, tamburello le dita, incrocio le braccia, respiro a fondo, accavallo le gambe, alzo le spalle, mi stiro, ma non serve a niente, ho bisogno di contatti”. Le percussioni ben calibrate fanno subito presa sull’ascoltatore, stavolta accompagnata da un struttura molto diretta e più “pop”. Nella successiva “The Family and the Fishing Net” Peter riprende la struttura della prima canzone, l’evocatività la fa da padrone. Una bellissima sezione ritmica dove vere e proprie “sciabolate percussive” cadenzano ancora una volta un ritmo ossessivo e ipnotico. Ora è la volta di quella che è, probabilmente, la canzone di maggior successo commerciale di Peter Gabriel nella sua storia. Questa “Shock the Monkey” che ha dalla sua un’incalzare che difficilmente lascia indifferenti. E’ quasi impossibili non farsi trascinare dal ritmo di questa canzone che tutti voi almeno una volta nella vita avete sentito, magari non essendone consapevoli. Memorabile la sua prestazione ad un Sanremo di tanti anni fa quando “svolazzava” con una liana sul pubblico del festival canoro. Semplicemente una pietra miliare. Non si contano gli artisti che hanno coverizzato questa hit. Quella che segue è stato un classico nei concerti di Gabriel per molti anni, cioè “Lay Your Hands on Me”. Anch’essa riprende un pò la struttura di “The Rhythm of the Heat” e “The Family and the Fishing Net”, ma dalla sua ha la forza di un ritornello che si adatta in modo perfetto alle performance live. Mentre in “Wallflower” torna al pianoforte e a una canzone che sa un pò più di classico. Tutto il talento che ha reso famoso Gabriel nei Genesis, è presente in buona parte in questa canzone. Invece in “Kiss of Life”, l’artista inglese ci scuote un pò dalle atmosfere “scure” di tutto l’album, con una canzone allegra, ancora accompagnata da un’impressionante sezione ritmica. Così a chiudere l’album in maniera “positiva” e “ottimista”.
Forse questo non sarà l’album più bello in assoluto di Gabriel (giudizio comunque molto soggettivo) ma per il sottoscritto rimane l’album in cui più di tutti il nostro ha cercato di sperimentare e in alcuni casi toccante picchi emotivi che pochi altri mi hanno regalato. Peter sa come arrivare a smuovere le emozioni e in questo album lo fa alla grande, anche grazie alle liriche che sono davvero bellissime in alcuni casi anche molto poetiche.
Dal punto di vista puramente tecnico in questo album troviamo una ricerca di suoni nuovi e originali, riscontrata nel 1982 in pochissimi artisti, se non meglio in nessuno di mia conoscenza! Non lo troverete facile al primo ascolto, ma se avete la pazienza di entrare nel mondo di Peter Gabriel, difficilmente vi deluderà.
lo spirito mi prende, cedo alla fede… spacco la radio (non voglio voci), rompo l’orologio (non si può dividere il dì), rompo l’obiettivo (non si ruba l’anima), il ritmo è intorno a me, il ritmo ha il controllo, il ritmo è dentro me, il ritmo è la mia anima…..