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Il primo album dei Sisters of Mercy, o meglio, di Andrew Eldritch dopo lo split coi dissidenti Wayne Hussey e Craig Adams fu paradossalmente l’album di maggior successo delle “Sorelle”. Rimasto praticamente solo, Eldritch recluta la brava bassista Patricia Morrison, che lascerà due anni dopo, e dà vita a un album che è il giusto compromesso fra il dark vecchio stile che ha caratterizztao la band e nuove sonorità più orientate verso il goth rock, tanto che le vendite gli danno decisamente ragione (numero 7 nelle UK charts e numero 1 nella calssifica alternative USA!).
Il successo dell’album fu dovuto a molti fattori: i bei video dei single che furono estratti (“1959”, la bizzarra “This corrosion” e la splendida “Dominion”, registrata nella mitica città di Petra), il tono molto “catchy” di molti brani ma soprattutto era uno dei momenti di maggior splendore del dark, e la qualità dell’album fu decisamente premiata. Insomma, il signor Eldritch era riuscito a prendersi una bella rivincita sui suoi ex compagni, che pure cercarono di impossessarsi del monicker e rimasero condannati a un limbo di alti e bassi mentre lui si sarebbe goduto un ottimo successo almeno fino al 1993.
Già il primo pezzo di “Floodland” lascia presagire la bontà dell’intero album: è il medley “Dominion/Mother Russia”, un pezzo di puro, esplosivo gothic rock il primo, mentre più cupa, sincopata e lenta la seconda, una dicotomia che interesserà tutto l’album, in un piacevole gioco di chiaro, anzi, grigio/scuro.
La seconda traccia è infatti un pezzo nero come la pece, l’onirica “Flood I” in cui Eldritch sembra recitare un rituale più che cantare, cercando di ipnotizzare l’ascoltatore; “Lucretia” (nel single e nella raccolta stampata come “Lucretia my reflection”) col suo celebre giro di basso ci regala un pò di sano, conturbante rock, mentre in “1959” Andrew siede al piano intonando una ballad malinconica destinata a rimanere nel cuore dei fan.
I sette minuti della versione album di “This Corrosion” col suo celebre ritornello e la sua perfetta amalgama di dark e hard rock ruffiano sono semplicemente parte della storia del genere, uno classico intramontabile sempre in voga nei gothic club. “Flood II” è l’esatto contrario della precedente “sorella” di cui sembra a tratti essere il remix (il ritornello è il medesimo), sicuramente il più scialbo pezzo dell’intero album, i Sisters qua non riescono proprio a mordere o a inquietare.
La band però si riprende subito con “Driven like the snow”: anche qui la Morrison è sugli scudi, con un facile ma efficacissimo giro di basso che si accompagna alle melodie dei synths e al canto malinconico di Eldritch, una ballata dark malinconica ma allo stesso tempo profonda e assai suggestiva. Breve e criptica l’inquietante “Neverland”, forse il pezzo in cui meglio è espresso il fascino dark delle sorelle, mentre “Torch” con la sua chitarra è un’altra malinconica ballad dark. “Colours” è invece una traccia elettronica sperimentale già comparsa in “Gift”, l’unico album del progetto “Sisterhood”, un pezzo in bilico fra il dark della già citata “Neverland” e suggestioni industrial.
“Floodland” è considerato unanimemente uno degli album più importanti della scena dark anni ’80 e una delle vette creative della band inglese, se non addirittura il suo vero, ultimo capitolo visto che il successivo “Vision Thing” sarà considerato da molti un pò troppo ruffiano, anche se da esso avrebbero preso spunto molte delle band attualment epiù interessanti nella scena (The 69 Eyes, Babylon Whores, ecc…). Inutile dire che per gli amanti del genere questo è un acquisto doveroso.