Blonde Redhead: Misery è la farfalla dai colori strabilianti

Le luci si confondono passando rapidamente dal rosso all'azzurro, i Radiohead di “ok computer” sfiorano il pubblico cercando di creare un'atmosfera adatta a quello che sta per accadere, il piccolo teatro studio strapieno ospita i presenti su comode poltroncine, tutti seduti, l'aria è rilassata e l'attesa un pò pesa. L'ambientazione è perfetta per accogliere la presentazione del nuovo album, “Misery is a Butterfly”, dei Blonde Redhead in uscita ad aprile.
Verso le 21 e 15 la band sale sul palco: Kazu appare quasi come l'immagine stereotipata di una scolaretta giapponese con un vestitino corto marrone e le calze velatissime che stentano ad andare un pò più sopra del ginocchio, Amedeo in perfetto stile seventies imbraccia la chitarra e da dietro la batteria si intravede Simone in una sobria tenuta nera. Poche parole di circostanza, si parte subito con la musica ed è già tappeto di applausi, i presenti si accorgono subito di che brano si tratta e i sorrisi si presentano sui loro visi. Direttamente dall'ultimo album uscito “melody of certain damage lemons” nasce ” Melody Of Certain Three”, lei al basso, Amedeo alla chitarra e le loro voci si intrecciano. Kazu ringrazia dell'affetto che gli si sta dimostrando, sorridendo, e tutta la paura che avrebbe potuto esserci prima di salire sul palco è ormai svanita. Parte una nuova base elettronica, tutto si fa più intenso e una bolla di magia sembra creare e a tratti risucchiare i tre musicisti. Il ritmo della batteria si fa ipnotico, la voce di lui dà inizio alla terza canzone mentre si muove dondolandosi su se stesso, con gesti meccanici seguendo il tempo dettato rigorosamente dalle bacchette di Simone, Kazu posa il basso e prende la chitarra, un lento movimento scuote i suoi fianchi e si lascia andare mentre la melodia del campionatore si disperde nell'aria. Parte, poi, un momento strumentale in cui la chitarra diventa protagonista, si chiude con l'intro del pezzo successivo, il quinto della scaletta, in cui l'atmosfera diviene quasi barocca, resa più cupa dalle tastiere che imitano il verso di un organo e la voce della giapponesina accarezza la semi-religiosità di questo intervento. La partenza di “equally damaged” riporta nel pubblico la voglia di cantare e quando “In particular” fa la sua comparsa le mani battono tra loro e le loro voci accompagnao quelle del gruppo fino a una base quasi tecno che si fa strada portando con se dei suoni particolarmente bassi, creando un perfetto mix tra angoscia e sensualità sottolineato dalla voce di Amedeo che rasenta il falsetto, la mia mente un pò mi rimanda al concerto dei Mars Volta, alla stessa attitudine di sperimentazione, ai suoni simili, agli assoli e alla stessa emozione. Le ultime tre canzoni scivolano via mostrando una base noise non indifferente, degna di gruppi alla Sonic Youth ai quali si ispirabo per i momenti più “distorti”.
Scompaiono nel buio, si intravedono gli applausi, i fischi, le parole li reclamano indietro. Non siamo ancora sazi e le luci che non vogliono riaccendere ci fanno ben sperare. I tre tornano sul palchetto, Kazu si scusa per le canzoni nuove, perchè non sono ancora a noi familiari, ma in fondo è bello anche così. Ricomincia la musica, l'aria si fà più rarefatta, dilatata e sognante, la sua voce lenta si trascina fino al comparire di quella di Amedeo e questo è solo il preludio di quello che sta per arrivare. Due canzoni del nuovo album, opposte tra loro prendono vita. La prima, “Magic Mountain”, strizza violentemente l'occhio alle atmosfere post-rock di Mogwai e Tortoise, e mentre la tastiere prende suoni acuti inaspettati tutto viene soffiato via dal vento che parte dal campionatore. “Melody” svela un'anima isterica, la voce di Kazu si fa frammentaria e distorta come i movimenti che fa per il palco, un lamento di chitarre come sottofondo, la batteria aumenta fino alla conclusione in cui assistiamo a un corteggiamento insistente tra l'elettronica e il suono metallico dei piatti.
All'improvviso, Silenzio. Nel momento in cui il pubblico si riprende da tutto quello a cui ha appena assistito, loro non ci sono più. Altri applausi, altra richiesta di bis. Gran finale.
Direttamente da “la mia vita violenta”, “still get rocks off”, inizia in un crescere delle chitarre più rock, nel senso molto stretto del termine, della serata e finisce tra le urla dei presenti. Timidi e un pò emozionati salutano e si ritirano. E' di nuovo luce con un pò di stupore.
Un'ottima prova, un album dai profili più melodici ma comunque grintosi, un live eccezionale capace di di creare atmosfere uniche grazie anche alla perfetta alchimia che lega i tre musicisti, dotati di una tecnica impeccabile. Un'esperienza che lascia un sapore dolce e particolare tra le labbra, un retrogusto piacevole e nuovo che sa di qualcosa di familiarmente lontano.