Filofobia – Entrée Du Port

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E’ incredibile come la Toscana riesca a tirare fuori gruppi notevoli come se fosse un enorme cilindro da mago: Mariposa, Andrea Chimenti, Litfiba e tanti altri. Proprio da questo calderone escono i Filofobia, gruppo aretino alle prese con il loro album d’esordio: e come se fosse ormai una tradizione, o se volete, un marchio di fabbrica, il disco si rivela essere di una freschezza compositiva disarmante.
Colpisce innanzitutto l’ampiezza del linguaggio musicale scelto: il gruppo riesce a muoversi in modo naturale e con una facilità impressionante tra canzone d’autore, indie rock, folk, elettronica, rock alternativo, pop, addirittura progressive rock; e tutto questo in soli 38 minuti.
Si parte con “Quanto tempo fa”, brillante pop obliquo con uno splendido testo (“Salto pagine per scoprire l’ultima. Strano che la fine non sia là”) che ben presto si trasforma in una marcia scandita da mandolini, fiati e chitarra elettrica, in bilico tra l’elettricità e il folk; si passa poi all’unico pezzo timidamente elettronico, “Revo”, che fa da introduzione a “Intercity” l’episodio più immediato di tutto il disco, un buonissimo pop/rock dissonante che ci racconta di viaggi e di ricerche.
Continua il disco e cambia il registro: “37 gradi” è una fragile ballad soffusamente poetica accompagnata dal clarinetto di Enrico Gabrielli (tra l’altro già con Mariposa, Marco Parente e Morgan) che esplode in un intricato arrangiamento di flauti ricalcando i primi passi del progressive anni ’70 (a tratti PFM e Genesis). “Metropolis” è un concentrato di grigiore metropolitano scandito a colpi di Scisma e Marlene Kuntz, “Non è successo niente” e “Tra le varie risposte” risultano essere i pezzi più psichedelici e aggressivi di tutto l’album accompagnati da un perenne basso in primo piano, mentre “Stella” si muove immersa nel campo folk e del cantautorato sorretta da fragilissimi arpeggi.
Stupisce come il disco non perda colpi in neanche una canzone e allo stesso tempo non risulti troppo dispersivo – anzi paradossalmente ogni sonorità risulta “bisognosa” dell’altra – crescendo invece traccia dopo traccia, ascolto dopo ascolto: i Filofobia sanno creare splendide canzoni, sanno usare vari registri e uscirne quando vogliono, senza rimanerne intrappolati e senza creare confini al loro suono; fatelo vostro, sarebbe davvero un peccato perdere l’occasione di ascoltare un disco così ben fatto.