Simon & Garfunkel: Un oceano in versione acustica

31 luglio. Quante volte Roma ha visto un evento così grande, quante volte migliaia di anime l'hanno calpestata trovandosi faccia a faccia, quante volte è stata vissuta così, dal primo sanpietrino dei Fori Imperiali all'ultimo gradino di piazza Venezia, all'ultimo centimetro di muro di via Cavour?
QUella sera di Simon e Garfunkel neanche traccia; stavano galleggiando nell'aria. Presto spiegato il motivo: centinaia di migliaia di persone erano accorse per vedere un evento che si profilava unico (nonchè gratuito). La prima volta del duo a Roma e, tanto per rincarare la dose, l'ultima data del loro ultimo tour prima del cosidetto ozium letterario. Un'abnorme massa di persone che, rinunciando alla sola idea di tentare di vedere almeno le luci del palco, rimanevano ferme nei loro posti guadagnati da ore oppure tornavano indietro per godersi, almeno, uno spiraglio d'aria nell'afosissima serata estiva.
Io di tutto questo me ne accorgo alle 21.30. Presagivo già la serata grazie alla telefonata minacciosa di una mia amica che alla domanda “scusa, ma quanta gente c'è?” mi risponde con un vago “lo vedi quando arrivi”: dopo 120 km di automobile (son tornato addirittura dal mare per tentare di vedere qualcosa) arrivo nelle vicinanze del Colosseo. Mi accoglie la folla che torna indietro, centinaia di visi tra l'incazzato e l'affrettato. Imperterrito io continuo ad andare in avanti finchè vengo bloccato dalle inferriate. Scopro a malincuore che tutto il Colosseo è stato chiuso alla folla mentre il mare di gente continua a scorrermi vicino. Arrivato all'incrocio tra via dei Fori Imperiali e via Cavour resto fermo. L'orizzonte non si vede. Mi dico: non sarà poi tanto lontano il palco, usiamo la tattica concerti rock/metal, cioè saltelli qua e là a tempo di musica fino ad arrivare al palco. Dopo due salti mi fermo. Dopo tre ore scoprirò che dal mio posto dovevo saltare per oltre 250 metri prima di vedere qualcosa.
Il concerto che non c'era: schermi per noi poveri arrivati all'ultimo minuto (eufemismo, visto che la gente vicino a me affermava di stare lì da più di cinque ore) dove venivano proiettate la facce sornione e felici di Simon e Garfunkel, sicuramente fieri e commossi di vedere così tanta gente. Il concerto non c'era, c'era solo la musica. Il concerto l'ha fatto la gente. Quella gente che tentava di spingere per guadagnare un metro o poco più. Quella gente che ballava ad occhi chiusi fregandosene del caldo asfissiante, nel loro metro cubo di spazio. Quella gente che aveva altro da fare che ascoltare la musica che gli sfiorava le orecchie facendo da accompagnamento al loro provarci. Quella gente che sottovoce cantava tutte le canzoni, una dopo l'altra, come se aspettasse questo evento da tutta la vita. Quella gente che sotto le note di “The Sound Of Silence” si chiamava amore mio. Quella gente sopra la macchina della polizia che temeva di averla bozzata proprio lei. Quelli appollaiati sui lampioni per respirare l'aria intrisa di “Scarbourough Fair”. Quella gente che, a sessanta anni, a squarciagola cantava “Old Friend” e viene la magia. Quella gente che se ne frega del concerto, che lì c'è solo per caso e che si incazza perchè non c'è spazio. Quella gente che faceva un silenzio paradossale in “Kathy's Song”. Quella gente che, tramite spintoni, si andava a godere il suono su qualche scalinata, tra una bottiglia di birra un sorriso e “Cecilia”. Quella gente che teneva sulle spalle i bambini che si muovevano a tempo di musica. Quella gente che si lamentava perchè non vedeva un cazzo. Quella gente che guardava gli schermi come si guardano dei vecchi amici ritrovati. Quella gente che di solito non va ai concerti e di solito non canta con vicino un drogato di vent'anni. Quella gente che guardava con schifo la bottiglia di vino vuota per terra. Quella gente che ballava e saltava sulle note di “Mrs Robinson”. Quella gente abbracciata che ascoltava “Dream” e non capiva chi fossero quei due vecchi che non assomigliavano per niente a Simon & Garfunkel (per la cronoca: erano gli Everly Brothers).
Lì in mezzo c'ero anche io, i primi tempi incazzato per il nulla da vedere, poi estasiato. Mi giro e dietro di me vedo un palazzo, con un lampione vicino e la luna dietro. E mi chiedo se veramente questa sia Roma. Davvero troppo bella. Un concerto fatto di gente e i due parevano saperlo. Tanta di quella gente da starci male, da svenire, da incazzarsi, da tornare a casa con un senso di disgusto per aver perso una serata. Ma il merito è soprattutto loro se Roma per una notte ha brillato sotto gli schermi con due facce sempre, sempre, sempre sorridenti. 500.000 persone che volenti o nolenti per una sera hanno vissuto sotto qualcosa che era unico per davvero.