Pearl Jam – Live at Benaroya Hall

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Quando una band diventa famosa grazie ad una “moda” musicale, come è stato il grunge, di solito nel 99% dei casi essa è destinata a sparire nel giro di pochi anni o al massimo a restare relegata al genere(o moda) stesso. Il grunge è stato una meteora, ma ha avuto dalla sua il non trascurabile merito di riportare l’attenzione, del pubblico più giovane, sulla musica suonata con le chitarre, ridando così fiato al rock che dagli anni ’80 era uscito con le ossa rotte. Della miriade di band che a cavallo tra il 90 e il ’93 sono uscite dalla miniera d’oro di Seattle alla fine solo 4 sono emerse, ma una sola è rimasta. I Nirvana sono finiti con la tragica morte di Kurt Cobain, i Soundgarden si sono presto sciolti a causa di litigi e ambizioni varie dei suoi membri, mentre gli Alice in Chains sono stati logorati dagli abusi di alcool e droghe. In poche parole, anche se per motivi differenti, nessuna di esse è sopravvissuta alla fine del grunge. I Pearl Jam però no; loro hanno saputo crescere musicalmente, passando, gradualmente, da gruppo grunge a vera e propria rock band. E’ triste dirlo ma il tempo è sempre il miglior giudice e in un mondo come quello della musica solo i migliori vanno avanti, gli altri possono avere il loro momento di gloria ma se alle spalle non c’è una solida base (non solo artistica )sono destinati a sparire. Ma torniamo a Eddie Vedder e soci: la loro metamorfosi musicale è iniziata a trasparire in modo vistoso con “No Code” del 1996 ma la vera svolta era avvenuta un anno prima, quando nel 1995 i nostri avevano inciso “Mirror Ball” assieme Neil Young. Da allora i PJ si sono sempre più allontanati dallo standard grunge per spostarsi verso un rock più classico e maturo incentrato principalmente su grandi ballate malinconiche, ma senza mai rinnegare il loro passato e il loro stile. Hanno tenuto migliaia e migliaia di concerti spesso in piccoli club, allontanandosi un po’ dalle luci del music bussinnes e questo gli ha fatto senza dubbio bene. Ora nel 2004 i nostri si presentano con il loro primo album live unplugged (ci sono in giro diversi bootleg che riportano delle session acustiche che i nostri hanno tenuto in vari festival ma nulla di ufficiale) e il risultato è a dir poco sensazionale. I PJ si mostrano a noi come una band solidissima, pienamente cosciente del suo nuovo ruolo, destinata ormai ad assurgere al ruolo di baluardo del rock. Questo “Live at Benaroya Hall” è un disco essenzialmente unplugged ma non mancano certo le chitarre e i bassi elettrici anche se lasciano certamente molto più spazio agli strumenti acustici e alla splendida voce di Eddie che finalmente libero di esprimersi riesce a dare il meglio di sé accentuando il lato melodico del suo canto, modulando la voce come mai aveva fatto in passato mettendo così in risalto tutta la drammaticità del suo stile. Il concerto qui immortalato è quello tenuto il 22 ottobre del 2003 al Bennaroya Hall di Seattle, in totale sono 24 canzoni per oltre 120 minuti di musica. Fare un bel disco acustico dal vivo (o semiacustico come in questo caso) non è mai semplice perché è facile scadere nella monotonia, se poi l’album è decisamente molto lungo come questo l’impresa diventa ancora più ardua. I Pearl Jam però superano più che brillantemente questa prova dosando sapientemente i brani, intramezzando le ballate con canzoni più elettriche e offrendo sempre una versione trascinante e ricca di grande carica emozionale di tutte le song. In scaletta troviamo la maggior parte dei loro hit passati più alcune inaspettate cover che spaziano dal folk, al country fino al blues. I brani più elettrici sono invece proposti in una nuova veste decisamente più psichedelica. Attenzione però: questo non è una sorta di best of versione acustica; in scaletta mancano infatti alcuni dei brani di maggior successo del gruppo che lasciano spazio a composizioni minori che si adattano perfettamente al contesto dello show. Avrete capito che con questo album non avrete certamente modo di annoiarvi tale e tanta è la varietà di suoni e di emozioni che i PJ sanno regalare. Ovviamente citare tutte e 24 le tracce è pressoché impossibile per cui mi soffermerò solo su quelle che più mi hanno impressionato. Partiamo dalle cover: Su tutte ci metto una strepitosa ed irresistibile “25 Minutes To Go”. La song parte lenta con la chitarra acustica poi piano piano sale e quando entrano tutti gli strumenti esplode in una debordante country song di quelle che il suo, mai troppo rimpianto, autore (Johnny Cash) amava tanto. Eddie canta in modo davvero sensazionale e tutta la band gira a mille con la sezione ritmica che macina note come un carroarmato. Sempre in tema di cover spicca anche la splendida “Masters Of War” (Bob Dylan) che avevamo già potuto apprezzare in un disco dei primi anni ’90 dedicato al grand emenestrello. La voce di Vedder da sola guida il brano mentre una chitarra acustica la accompagna in sottofondo; prova sensazionale di questo incredibile cantante che con la sola forza della sua ugola sa incantare per tutti gli oltre 6 minuti di durata del brano. Ma in un album come questo quello che incuriosisce di più il fan è ascoltare le canzoni della band in una nuova forma. Operazione rischiosa quando si tratta di brani amatissimi e famosissimi come quelli dei Pearl Jam, il pericolo che il pubblico non apprezzi è alto. Ma un band con le palle non si fa certo di questi problemi e il risultato gli da pienamente ragione. Ascoltiamo ad esempio “Immortality” impreziosita da uno splendido mandolino, la melodia rimane la stessa ma il suo cuore da ballad ne risulta fortemente accentuato grazie ai bei duetti di chitarre acustiche e appunto mandolino. Voglio poi citare l’opener del disco”Of The Girl”. Ammetto che mi aspettavo un inizio lento e più folk oriented invece si parte con una acidissima chitarra elettrica e la voce del leader in primissimo piano. Le chitarre acustiche compaiono subito in sottofondo e già fanno capire cosa ci aspetta nel proseguo del disco creando una sapiente ed accattivante miscela di suoni elettroacustici a sorreggere un Eddie Vedder quanto mai ispirato. Tra i brani più celebri del gruppo non può certo mancare “Thin Air” splendida e malinconica ballata a cavallo tra folk e rock. Sempre da Binaural viene poi estratta “Nothing As it Seems”. L’inizio con la chitarra elettrica, sempre più acida e distorta, richiama subito alla mente i primi Pink Floyd, poi entra la voce di Eddie e si crea una sorta di aura magica prima che la song decolli in un vortice rock che stride con la voce ricca di drammaticità e malinconia. Straordinaria! Ancora grandi ballate con “Off He Goes” , splendida con la chitarra acustica molto bluesy, e “Sleight Of Hand” che esalta l’amore della band per la musica psichedelica della bay area. Il primo disco si chiude con una furiosa “Luckin” velocissima e tiratissima ma con la chitarra acustica, davvero tutta da ascoltare. Il secondo cd è ancora dedicato nella quasi totalità alle ballate partendo dall’iniziale “Parting Ways” con tutto il pubblico che canta con Eddie. Ma come non citare le splendide “Dead Man” e “Black” quest’ultima introdotta da un meraviglioso assolo di mandolino che la guida su territori decisamente cantautorati per poi piegarsi sotto la magia della chitarra di Mike mentre gli spettatori sostituiscono il buon Eddie nel ruolo di cantanti esaltando l’atmosfera live dell’album. C’è poi anche una chicca con Eddie che da solo esegue “Can’t Keep” accompagnandosi con l’ukelele Non poteva certamente mancare “Daughter” salutata da un vero uragano da applausi nonostante l’inizio acustico che avrebbe potuto sviare i più. L’ennesima prova che le grandi canzoni restano sempre tali anche se cambiano ”vestito”. Si chiude con una terremotate” Yellow Ledbetter” con le chitarre elettriche sparate a mille. Questo “Live At Benaroya Hall” è un disco emozionante, vario, potente, dolce, malinconico; in queste 24 canzoni ci potete trovare tutto il meglio di una band che, finalmente, sbarazzatasi della zavorra del passato si presenta a noi matura e pimpante. Certamente questo è uno dei più bei dischi di Rock (scritto con la maiuscola) dal vivo che ho ascoltato da molti anni a questa parte. Se a questo ci aggiungiamo che il ricavo delle vendite andrà in beneficenza non mi resta che consigliarvi fortemente il suo acquisto. “live at Benaroya Hall” è uno di quei dischi destinati a rimanere.