Mercury Rev – The Secret Migration

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Primo appuntamento di una certa rilevanza per questo inizio 2005. Mi riferisco nel dettaglio al nuovo album dei Mercury Rev, “The Secret Migration”, che giunge alle stampe a distanza di quasi quattro anni dall’ottimo “All is dream”. Se quest’ultimo verrà ricordato come uno dei dischi più sfarzosamente romantici degli ultimi tempi, “The secret migration” segna invece il ritorno ad una musica più calibrata e meno appariscente, sebbene una certa eleganza di fondo continui ad essere ben evidente. Sono infatti dosati con più parsimonia gli interventi sinfonici e i rimandi a certo rock dalle forme complesse che hanno caratterizzato il sound dei Mercury Rev di inizio millennio, mentre si nota una piacevole ricerca del rilassamento sonoro.
L’apertura del disco è affidata ad uno dei migliori brani mai scritti dal gruppo, “Secret for a song”, fine, posata, eppur così sofisticata nel suo intimo equilibrio. Non le sono da meno “Black Forest (Lorelei)”, evocativa al punto giusto e con una parte strumentale centrale davvero straordinaria, e la più vibrante “Vermillion”, in cui emergono qua e là elementi maggiormente ancorati ai tempi di “Yourself is Steam”. Più in linea con certo gusto per le suggestioni psichedeliche risulta “In a funny way”, dove tornano le orchestrazioni sentite su “All is dream” e qualcosa che, laddove non lo fosse, somiglia molto ad un sitar. Altro picco notevole nella romanticissima “My love”, con interessanti successioni armoniche unite a straordinari ricami melodici che sottolineano le indiscusse capacità compositive del gruppo. Il piacevole e breve episodio a voci armonizzate “Moving on” inaugura la parte finale del disco, che ha nella bellissima ed essenziale “First time mother’s joy (Flying)” un altro momento di eccezionale atmosfera, in cui viene facile immaginare, grazie ai fraseggi alla slide guitar, certi paesaggi pinkfloydiani.
Non pare lecito riferirsi a “The secret migration” come ad un capolavoro, a causa di un paio di episodi non propriamente memorabili (“In the wilderness”; “Arise”). Detto questo il disco è comunque caratterizzato da un notevole numero di canzoni che faranno la felicità di chi ama certe forme raffinate di rock, e se non fosse per quel paio di canzoni onestamente bruttine staremmo qui a celebrare il più bel disco dei Mercury Rev.