Il concerto dei Radio Dept è stato quello che si può definire il classico concerto indie: non troppa gente, la maggior parte amici o conoscenti; un gruppo un po’ timido (che ringrazierà il pubblico ironizzando sul fatto che una volta suonavano davanti a quindici persone) che fa parlare gli strumenti; una carrellata di personaggi che andavano dal perfetto pacchetto indie (giacca, converse e tanta immunità al freddo), allo sprovveduto di turno.
Come ormai da tradizione, il concerto inizierà non prima delle undici; è grazie a questo che si può girare nel locale e sbirciare un po’ la strumentazione, tra cui spunta una loopstation, la quale ci ricorda con simpatia che la bassista del gruppo non sarà presente fisicamente, ma dentro quel simpatico aggeggio.
L’apertura è affidata ai romani Blueprint che, senza indugi, propongono una sorta di post rock che non sa tenersi in equilibrio: ogni tanto sbanda verso derive punk funk, altre volte verso lidi propriamente space. Durante l’esibizione sembra quasi di stare ad ascoltare due session diverse che talvolta s’incontrano. Un indizio per quello che sarà il mood del live: quella sera la musica era certamente indecisa.
Già perché verso mezzanotte, i Radio Dept in veste di trio – chitarrista, chitarrista e tastierista – sembrano seguire le orme dei loro supporter: i campionamenti di batteria e i loop di basso attuano una sorta di dissociazione musicale per la quale la maggior parte le tracce diventano uno strano karaoke, nel quale la chitarra e la tastiera non fanno altro che riempire i vuoti della base.
Detto questo comunque i Radio Dept hanno la genuina capacità di coinvolgere le persone solo con la loro musica: è così che “Lost And Found” nel suo intrecciarsi di chitarra e synth diventa ancora più bella che su disco, mentre “Where Damage Isn't Already Done” e “Why Don’t You Talk About It” mantengono la stessa identica forza di puro shoegazing pop, miracoloso sia su disco che (e soprattutto) nel live. E si capisce il perché di tanto lavoro da parte dei ragazzi che tra blog e passaparola internettiani si sono dati così tanto da fare: gli echi di Jesus And Mary Chain e di My Bloody Valentine hanno un effettivo riscontro sulla mente degli ascoltatori: ed è quasi una magia essere cullati così dolcemente con un pizzico di nostalgia. Sfrortunatamente saranno questi i pochi pezzi meritevoli di essere chiamati “live, mentre tutto il resto si manterrà abbastanza distaccato e “naif”.
Durante il set, che durerà sfortunatamente neanche un’ora (c’è da dire che di più non poteva ovviamente durare, visto che il disco dura neanche quaranta minuti e che il biglietto è stato ampiamente compensato dall’esibizione del gruppo di supporto) c’è posto anche per le nuove canzoni dell’EP “This Past Week” che vanno ancor di più a giocare sul fattore drum machine, generando una sorta di indie pop più elettronico, alla maniera degli M83, che nulla aggiunge e nulla toglie a quanto sapevamo sul conto del quartetto. A proposito di questo, c’è da dire che i campioni avevano il grosso difetto di portare alla memoria il gruppo sopraccitato, generando non pochi paralleli con l’attitudine della band francese che a ben vedere condivide l’atteggiamento pop shoegazer e fa uso massiccio di synth ed elettronica.
Tirando le somme, un concerto imprescindibile per chi il l’indiepop lo mette anche nel cappuccino la mattina, ma anche per chi non fa di questo una bandiera di vita. Emozionante, questo è certo, ma non eccelso, e neanche da rimanerci entusiasti, forse tutt'altro.
Rimane il fatto che la mancanza della bassista (immaginiamo che quello strano senso di plastica sia derivato da questo) abbia influito non poco sulla parte “umana” dello show; perfetto senza dubbio, un cuore pulsante che troppe volte però riceveva una scossa dal pacemaker.
n.b. le foto non si riferiscono alla serata recensita