Castanets – Cathedral

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“Benvenuti a San Diego, città del songwriting perfetto. Popolazione: indie”. E se pensate che la metà della popolazione della cittadina vive sotto la ragione sociale dei Castanets, allora avrete più o meno una vaga idea di quello cui andrete incontro: un collettivo di sedici persone che ruotano attorno al nome di Raymond Raposa – novello Howe Gelb vestito a lutto – e che rispondono ai grandi nomi della scena di San Diego: Pall Jenkins dei Black Heart Procession, la metà dei Pinback e membri dei 3 Mile Pilot. Facili i loro ruoli: rispettivamente alla sega, all’angoscia e all’ossatura.
La formula di questo disco d’esordio è quella che si potrebbe immaginare dai nomi coinvolti: le inflessioni intimiste alt.country di Raposa più volte si espandono verso ricchi lidi sonori immersi in un ambiente noir che ne valorizza l’ascolto. E’ così che Cathedral 2 (Your Feet On The Floor Sounding Like Rain) ci introduce a suon di organo e campanacci il mood principale del disco: una ensemble per umori che spazia da spettrali gemme country nichiliste ad atmosfere grottesche/industriali degne di un Tom Waits in depressione, a piccoli bozzetti indie-folk (come smentire la vena dei 3 Mile Pilot?) intimisti e spiritualmente laceranti che un paio di volte fanno l’occhiolino al cantautorato figlio di Will Oldham e Smog – anche se alcune volte, c’è da dirlo, si citano un po’ troppo addosso.
E Industry and Snow ci mette davanti al seguente interrogativo: se Raposa ha scritto un pezzo che rasenta la perfezione chiudendolo in soli 1:44 minuti di crescendo nevrotico, cosa riuscirà a fare nel prossimo album? In questi casi si dice: ai posteri l’ardua sentenza. Intanto noi abbiamo la certezza di un piccolo gioiello.