Meshuggah – Catch 33

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Doveroso è partire con una premessa: cinque album, tre ep e una raccolta sono tutto quello che abbiamo dei cinque svedesi, e non è poco. Anzi, è addirittura abbastanza da poter ormai riuscire ad assimilare molto velocemente larga parte dell’esperienza Meshuggah, che, a meno di grandi sterzate, difficilmente oggi riuscirebbe a sconvolgere l’ascoltatore. Catch 33, infatti, non si discosta dalla premessa sopra esposta: è un album composto di una sola traccia divisa in tredici momenti: naturale proseguimento di Nothing, il nuovo lavoro si presenta come il punto più definito delle sperimentazioni portate avanti dall’album sopraccitato in poi. Dimenticate quindi le spericolate acrobazie ritmiche dei primi dischi, perché qui ne troverete ben poche; Catch 33 è un macigno di riff che prontamente si ripetono fino alla catarsi, composto da piccoli, nevrotici e asfissianti intermezzi noisy di chitarra al posto degli assoli e da un’interpretazione vocale che esplora sia il growl che atipici effetti ambient, in salsa cyber. Superata la crisi del “monolite tutto uguale” cui si rischia di andare incontro nei primi ascolti, l’ascoltatore sarà gettato in una sorta di labirinto fatto di confusione e ciclicità, le due colonne portanti di questo nuovo lavoro che si prodiga e divide tra assalti nevrotici e pesantissimi in pienissimo stile Nothing e dispersioni ambient, senza mancare di frantumare in piena faccia due granate del peso di Dehumanization e Sum che, negli ultimi minuti, scanditi da lontanissime note di chitarra, non fa altro che ricordare che da questo labirinto non si può uscire. Al massimo, si finisce per impazzire.