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La straordinaria musicalità e l’esemplare sperimentazione che caratterizzano l’omonimo album del 2002 dei romani “Fonderia” è un qualcosa con davvero pochissimi eguali al mondo. Difficile è tracciare delle coordinate stilistiche, poiché esse variano a più riprese in molti degli episodi del disco, passando da una fusion acustica dai piacevolissimi sapori etnici per poi rientrare in territori vicini al jazz rock, al progressive rock, in qualche caso allo space rock, per non parlare di certi squisiti tratti latini. Quel che potrebbe sembrare un temibile minestrone è in realtà uno stupendo, a tratti sorprendente per facilità d’efficacia, squarcio di suggestioni luminose e calde, portate avanti dai bellissimi dialoghi chitarra acustica / sax, come ad esempio sulla straordinaria “Piazza Vittorio”, esemplare colonna sonora del quotidiano romano, una suggestiva istantanea musicale di uno spazio caratteristico della nostra capitale in cui trovano spazio odori e fragranze mediterranee su basi di estrazione jazz rock. Se l’esordio “Tevere” con le sue chitarre acustiche armonizzate mette in luce l’aspetto più spensierato di Fonderia, sebbene il bel piano elettrico tenda a rimarcare un notevole gusto nobile dal chiaro rimando seventies, altrove emerge eleganza e raffinatezza, malinconia e un certo slancio verso l’agitazione interiore e un brano come la bellissima “Deep Blue” ne è facile e sicura testimonianza. In questa composizione emerge il sensibile gusto chitarristico di Emanuele Bultrini nonché la bellissima inclinazione alla colorazione del tastierista Stefano Vicarelli, per un risultato finale che si aggira nei territori intriganti della sospensione sonora. Non le è da meno “Dubarcord”, altro episodio che evidenzia una sopraffina propensione per l’arrangiamento e per il ricamo del particolare, con fiati e tastiere in netta evidenza in un episodio che mi azzardo a definire space jazz, in cui sono molti i momenti ipnotici che rapiranno più di un cuore, quella stessa ipnosi che tornerà con maggior evidenza nella suggestiva “Dante at Last”, oltre 8 minuti di suoni, percussioni effettate, parole, note di pianoforte, stupendamente organizzati e nella conclusiva, dilatatissima e a tratti acida “Statico”. Se non siete ancora entrati a contatto con l’arte di Fonderia, vi esorto a farlo il prima possibile, specialmente chi fosse alla ricerca di una insolita proposta musicale a metà strada tra jazz moderno e space rock, comunque sia lontana dai soliti richiami stilistici. Un cd amabile, atmosferico e vibrante allo stesso tempo, viscerale ma al contempo altamente sofisticato. Assolutamente eccellenti.