Certo che a ben sentire ce ne sono di affinità tra i Sigur Ros e i Radiohead. E non che questo sia un male, ci mancherebbe, ma va da sé a sottolineare quanto grande possa essere l’esibizione del gruppo islandese paragondola ad uno dei gruppi più emozionanti che vi capiterà di vedere live. La cornice della Cavea dell’Auditorium di Roma si offre per ospitare il concerto dei quattro folletti, preceduti da tali Amina, un ensemble tutto al femminile di musica.. musica.. e qui sta il difficile. La proposta delle Amina è una sorta di incrocio tra Mùm e tutti i suoni che girano intorno alle lande ghiacciate del nord Europa (quindi batterie saltate, synth e tastiere come se piovesse, seghe suonate con l’archetto, xilofoni a go go, violini) conditi con gli aggeggi più strani che possiate pensare: bicchieri (e chi pensava che da attrazione di strada potessero diventare parte integrante di un progetto musicale?), una stranissima scatola con delle corde cui ignoro, scusandomi, il nome, e i soliti amenicoli made in Macintosh. Una buona mezz’oretta di questi suoni (non sempre azzeccatissimi bisogna dire, soprattutto durante le derive più intransigenti fatte solo di una sottospecie di sottofondo ambient per bicchieri semivuoti) che preparano (o forse no, giudicando dal brusio) il pubblico all’entrata dei quattro folletti. Ed ecco che, appena succede, il pubblico ammutolisce. Per quasi due ore e mezza, per giunta. Se dovessi citare un solo evento del concerto da annotare in ipotetici registri musicali, sceglierei sicuramente la reazione del pubblico: che ci crediate o no, sembrava di essere in chiesa tale era l’approccio quasi sacro al gruppo, ed il silenzio. Durante l’esibizione dei quattro potevi starnutire ed
essere sentito dall’altra parte di Roma. Ed era quasi surreale l’esplosione a fine canzone. Uno scroscio di applausi che avvolgeva l’intera Cavea e sovrastava ogni cosa, mai sentiti così forti per un gruppo. E sulla definizione di gruppo ci sarebbe da pensarci su.. sarebbe forse più calzante ensemble? Già, la musica classica, tutto ricordava, in fondo la musica classica, Vienna, l’Ottocento. Dal silenzio sacrale del pubblico, ai perfetti tappeti di pianoforte che accompagnavano ogni singola nota, melodie perfette e avvolgenti, come panni di lino.. gli stessi panni stesi ad inizio concerto, a coprire l’esibizione del quartetto, a proiettare ombre.. evanescenti, a scomparsa, tale da farti dimenticare la presenza del gruppo se non sottoforma d’ombre, di musica viva e fluida. Il concerto dei Sigur Ros poteva essere tutto meno che l’esibizione normale di quattro persone. E così infatti non è stato: la scelta del proiettore dietro di loro, con immagini sfocate, ombre e chiazze nere a volte a forma di persone in corsa, a volte profuse in abbracci, a volte pronte a svanire nell’aria e nell’ambiente, anch’esso fuori fuoco. D’un tratto, sullo schermo, Sigur Ros, nella sua forma fisica, l’unica forma fisica della serata, con i contorni della sorellina di Birgisson.
Il resto una massa di suoni, un muro sonoro impenetrabile (la chitarra viene “maltrattata” con l’archetto di violino per ore) ed allo stesso tempo melodioso. Una batteria tesa a dilatare invece che a tenere i tempi. Nuovi pezzi presentati in maniera magistrale, non più dilatati, ma attraversati da sussulti sonori e melodie classiche. E la voce, altro punto forte della serata. Un falsetto impressionante quello di Jon Thor Birgisson, una lingua inesistente (che in questo set, bisogna dirlo, ha i suoi limiti, rintracciabili in monotonia, intesa come il ripetersi delle stesse identiche due “frasi” per l’intero set) e una presenza scenica dannatamente fragile e immensa (non a livello fisico, ma vocale, sia ben chiaro) a chiudere un'immensa “Untitled 8”. Dopo più di due ore, tutti sono consci di aver assistito a qualcosa di unico. La mattina dopo qualcuno avrà ancora le melodie in testa. Giorni dopo qualcuno ricorderà con immenso piacere quella serata. Anni dopo qualcuno racconterà lo stato di grazia della musica del duemila ai propri figli. E Sigur Ros sarà diventata la fiaba della buonanotte, magari.
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