Ebbi già modo di apprezzare i Pain of Salvation in una delle loro prime sortite italiane, quando il 14 febbraio 2002 aprirono al concerto dei Dream Theater al Mazda Palace, promuovendo quel meraviglioso “Remedy Lane” la cui poesia mi lasciò interdetto. Quello fu un concerto così così, non tanto per colpa dei POS, che anzi offrirono una performance davvero adrenalinica, quanto per i tecnici che dovettero aver pensato di usare i cinque svedesi come cavie per trovare i suoni giusti per i DT. A distanza di oltre tre anni ho finalmente avuto modo di poterli apprezzare nel ruolo di headliner in un proprio tour, e lo spettacolo offerto la notte del 16 settembre al Live Club di Trezzo è stato davvero memorabile. Ad aprire per i POS sono stati i Dark Suns, gruppo tedesco che ha proposto una sorta di gothic metal alquanto stereotipato e che sul palco non è parso mostrare molto mordente; l’impressione avuta è che questi ragazzi siano un po’ timidi sul palco, però la performance offerta non è stata male e il pubblico ha apprezzato il loro sforzo e la grande umiltà, incoraggiandoli e supportandoli dall’inizio alla fine, un bell’esempio di rispetto e civiltà che lasciava ben presagire per il resto della serata. Il Live Club non è un posto molto capiente, ma mi ha fatto specie constatare come nonostante l’arrivo dei POS la platea non fosse stipata quanto mi aspettavo: è probabile che sia stato così per via del recente show al Rolling Stone la scorsa primavera, ma in fondo è stato un bene, il Live era decisamente una sauna e la temperatura era destinata a salire vertiginosamente. Verso le 22:50, montate tute le attrezzature e le scenografie, calano le luci e la band fa il suo ingresso sul minuto palcoscenico. I doverosi saluti a Daniel, in una mise completamente bianca. Christopher, Fredrik e i due Johann, ed ecco che i nostri attaccano subito con uno dei loro migliori anthem: è “Used”, da “The Perfect Element”, e si scatena il finimondo. I ragazzi ingranano subito, i tecnici del suono un po’ meno visto che restano senza voce a turno i cori e lo stesso Daniel, ma sarà l’unica sbavatura tecnica della serata assieme ad un piccolo problema alla chitarra di Daniel nel finale. L’inizio promette bene e il carismatico frontman inizia ad interloquire con noi del pubblico, sincerandosi del nostro entusiasmo e facendoci sentire parte integrante dello spettacolo. Si intuisce già che lo show sarà un viaggio completo attraverso la discografia della band, che propone quasi tutti i migliori brani del repertorio pescando da ogni album, con mia sorpresa anche dallo splendido live acustico “12:5” (potenza dei pick-up piezoelettrici). L’ordine seguito è più o meno cronologico, con qualche eccezione come “Second Love” inframezzata fra “Inside” e “Insideout” – Daniel pensava che il momento giusto per proporla fosse quello, e l’interpretazione è stata struggente, col pubblico che cantava all’unisono suscitando una sincera e commossa soddisfazione da parte dei POS. L’allestimento scenico, nonostante le ridotte dimensioni del placo, è ottimo, con un proiettore che sullo sfondo ci fa vedere i videolip di ogni pezzo e i nostri che riescono a muoversi agilmente da una parte all’altra del palco, con Christopher e Johan che spesso duellano con basso e chitarra e Daniel frontman dinamico che salta da una parte all’altra. Il tempo purtroppo vola e ci ritroviamo presto ad assistere ad una monumentale proposizione di “Ashes” che brilla per potenza, intensità emotiva e partecipazione del pubblico, dopo la quale si passa ai pezzi tratti da “Remedy Lane”, e il coinvolgimento a cui assisto durante l’esecuzione di “Undertow”, unito alla canzone in sé, quasi mi strappa una lacrimuccia. Il set semiacustico tratto da “12:5” si mostra di assoluto livello, coi nostri che propongono un medley da brivido “People passing by/This Heart of Mine (I pledge)/Song for the Innocent” che tutti noi del pubblico ovviamente apprezziamo. Infine, it was “Be”. Devo ammettere di essere stato fra i più scettici che non sono riusciti ad entrare in sintonia con questo particolare concept, perciò ero assai curioso di vedere come avrei reagito quando la band avrebbe proposto i brani dell’album. Con piacere devo dire che è stata l’occasione giusta per riuscire a cogliere i brani proposti nella dimensione più emotiva. Prima ci sono state le due intro parlate/strumentali “Animae Partus” e “Deus Nova”, poi Daniel ha fatto il suo ingresso in perfetta tenuta da “giovane fighetto rampante”, accompagnato da una graziosa e procace signorina con la quale ha recitato molto bene il video del lungo brano “Dea Pecuniae”. Ammetto di aver avuto momenti di grande ilarità, però la canzone si è rivelata davvero efficace e Gildenlow si è assai divertito ad innaffiare alla fine il pubblico con qualche bicchierata d’acqua, lasciando il sottoscritto abbastanza fradicio e un po’ dispiaciuto per il fatto che in quella bella bottiglia non ci fosse del buon vino bianco. Una breve pausa e poi è il momento degli encore, che si aprono in maniera alquanto singolare: i POS e i Dark Suns eseguono assieme una versione in tedesco di “Ashes”, intonata dal cantante del gruppo spalla in onore di un amico venuto fin lì per lo show, un tale “Olli” se non ricordo male. Il tono di presentazione è scherzoso ma l’esecuzione impeccabile, coi POS che suonano e i DS che cantano, una versione insolita ma affatto spiacevole. Lo show sembra non finire mai, Gildenlow e soci hanno energia da vendere e dichiarano apertamente di volerci vedere tutti quanti esausti e contenti quanto lo sono loro. Una triade di pezzi in sequenza del calibro di “Oblivion Ocean”, “Nightmist” e “People passing by” è il colpo di grazia più dolce ed efficace che i nostri potessero scegliere, con buona pace di chi avrebbe voluto qualche altro pezzo a cui era particolarmente legato: davvero non si poteva chiedere di più alla band stasera. Uno show perfetto sia per la prestazione in sé, sia soprattutto per la tanta simpatia ed il calore umano espressi da una band e da un pubblico molto legati – grazie al fan club “Spirits of the Land”, è bene menzionarlo – che non hanno mancato di dialogare e fornirsi supporto reciproco. Pain of Salvation, una delle migliori realtà nella scena musicale odierna, forse la miglior dimostrazione di come si possa dar vita a prodotti artistici di enorme spessore pur rimanendo delle persone semplici e senza grilli per la testa, riuscendo ad essere sinceramente vicini a quel pubblico che tanto le ama e le supporta. Unici, in ogni senso.