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Difficile non definire celestiale la musica di un disco che lo stesso Marvin Gaye dichiarò fosse stato scritto dalla mano divina, evidentemente in giornata di grazia. Una raccolta di canzoni che segnò per sempre la storia della soul music, e dello stesso Gaye, che per mezzo di queste tracce smise definitivamente i panni dell’interprete di lusso, per confermarsi autore a tutti gli effetti. Nel 1969,quello che per anni era stato l’uomo d’oro della Motown, una etichetta sempre bene attenta alle vendite, reclamava finalmente un posto al sole e la possibilità di sperimentare libero da condizionamenti commerciali e da obblighi da top ten, già ampiamente evasi. Per due anni Marvin Gaye incise dei pezzi che andavano ben oltre la consuenta gamma sonora della sua label, al punto che, Barry Gordy, boss della Motown decise di non fare uscire il singolo di “What’s going on”, considerandolo invendibile. Il tira e molla non durò a lungo proprio perché Marvin Gaye, forte delle vendite da sempre assicurate alla casa discografica, riuscì ad imporsi e a fare uscire il disco che finalmente ne rispecchiava anima e cuore. Per una volta almeno i dischi venduti furono la forza contrattuale di un artista, strumento di emancipazione artistica. E la Motown, etichetta che concentrava la sua attenzione sul mercato dei singoli e aveva sempre concepito gli album come raccolte di brani già editi, dovette suo malgrado accettare di stampare un’opera interamente eseguita dall’autore e dal manipolo di musicisti e arrangiatori a sua disposizione. Un’opera concettuale, ma universale, uno sguardo preoccupato e amorevole su un pianeta sempre più grigio: un monito, un allarme sussurrato alla luna, la necessità di porre domande e di suscitare l’interesse e lo sdegno dell’interlocutore, in una calma piatta dove l’indifferenza scivola nell’apatia. Il titolo è programmatico, sembrerebbe che Marvin Gaye ti stia chiedendo stupito come sia possibile che tutto scorra, che tutto proceda, poi ti accorgi che a “What’s going on” manca il punto interrogativo, e che non si tratta di un refuso. Le visioni allora prendono la forma di cronaca, i dubbi sono impietosa analisi della società, e commossa speranza per chi ne subisce le conseguenze e soffre in silenzio. Ma c’e’ speranza, un moto ascensionale verso l’alto, desiderio di sublimazione e di un contatto con il divino che sia luce, che sia faro nella notte. L’angoscia per la guerra in Vietnam( il fratello di Marvin era un veterano del conflitto….), l’inquinamento del pianeta e delle anime, la vita nel ghetto con le Pantere Nere a languire nelle carceri della “ terra delle libertà ”. Un disco meraviglioso, un continuo levitare, sospesi e leggeri, un afflato mistico che colma gli spazi tra la voce e i mille, preziosissimi, suoni di queste canzoni. La title track, si staglia in apertura come un amichevole vortice di colori, la voce di Marvin elegante e sottile, moltiplicata dalle sovraincisioni, sempre in grado di dettare sfumature e tonalità differenti, un sax in fuga verso lo spazio e poi quell’intermezzo strumentale, quegli archi di velluto che disegnano una melodia che diresti ancora più azzeccata di quella vocale! Si continua con un altro pezzo da 100( chè 90 non bastano…) come “What’s happening brother”, e di nuovo quegli archi, doppiati da voci femminili di sirene a moltiplicarne l’effetto cosmico e i bagliori psichedelici. La melodia, quanto di più perfetto su questo pianeta, commuove e mette i brividi freddi, su un basso rotolante e groovy,come se i cattivi presagi trovassero conferme. Anche qui occorre sottolineare il lavoro del cesellatore di suoni David Van De Pitte, fedele compagno di Marvin Gaye e tessitore di una veste sontuosa, funky e mai sovraccarica. Potreste anche fermarvi qui, si tratta di due composizioni che entrerebbero di diritto in una improbabile chart delle 10 di sempre. Ma per fortuna non è finita, c’e’ spazio per il volo pindarico di “Flying high”, che riporta a Otis con una melodia calda e raccolta minacciata da un basso irrequieto, e tutte le evoluzioni vocali che il nostro può inventare come variazioni sul tema. Il raccoglimento diventa preghiera con “Save The Children”, con tanto di versi scanditi due volte, in recitato e in melodia. La preoccupazione per un mondo alla deriva, il senso di impotenza. Ma il pezzo sa scavarsi un tunnel verso la luce, grazie ad un lento ma inesorabile crescendo di archi, batteria e della sublime voce di Gaye, ancora una volta di una purezza assoluta. Sta qui la differenza tra il suo falsetto e quello del 95 per cento dei mestieranti del pianeta, in questa naturalezza, in questo essere carezzevole, spontaneo e mai esibito, magari per tappare falle nella scrittura. Dopo questi viaggi spiritual, si torna al pop&soul della più bell’acqua, con la svelta e programmatica “God is love”, e quel miracolo in note che è “Mercy Mercy Me “, un vero cioccolatino, tra la chitarrina funky e mille campanelli e percussioni a lasciare spazio a quella voce suadente e trattenuta. “Right on” si colora di Brasile e di america latina tra flauti imbizzarriti e percussioni d’ogni tipo, pezzo scritto per riempire le piste e smuovere dalle sedie, voce maestosa e consapevole della sua possanza, arrangiamenti da “stato dell’arte”. In chiusura il funk nero pece, il soul notturno e solitario di “Inner city blues”, e ancora una volta la parola capolavoro non cade a sproposito. Gli arrangiamenti sono ridotti al minimo, o meglio, vanno a impreziosire di infinitesimali dettagli un mosaico spoglio e a tinte scure, per una canzone che tratta delle difficoltà del vivere quotidiano, di inflazione e disperazione, dei quartieri senza prospettive e senza uscita( chissà come la immagino perfetta colonna sonora dello Spike Lee di “Clockers”…) 35 minuti privi della benché minima sbavatura, e che grazie alla infinità di sfumature, si rendono preziosi ed irripetibili all’ascolto anche ad anni di distanza dal primo contatto. Inutile dire che si tratta del disco perfetto per chi volesse approcciare la “musica nera”, per chi ha solo sentito parlare di soul, magari per i motivi sbagliati. Un disco per ricredersi e maledire se stessi per il tempo perso a causa dei giudizi troppo affrettati. La magia che permea questi solchi è pura vita, la gioia di una vita consapevole attenta, dove l’amore per una persona è sublimazione dell’amore per l’universo e viceversa. Prima ancora dei concetti espressi da Marvin Gaye, è la sua musica ad obbligarci a fare i conti con la nostra umanità, a spalancarci il cuore e riempirlo di senso, senza bisogno d’altro.