Soundgarden – Badmotorfinger

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Concepito dalla A&M come il disco della consacrazione definitiva dei Soundgarden ai vertici del “fenomeno” grunge (come se la cosa non spettasse già di diritto ad un gruppo presente sulla scena fin dall’85!), Badmotorfinger rappresenta in realtà una sorta di svolta per il gruppo di Seattle: un po’ perché da qui partirà l’evoluzione verso il sound dell’acclamato Superunknown, un po’ perchè la produzione e la registrazione finalmente rendono giustizia alla levatura del gruppo. Con il nuovo bassista Ben Sheperd a dar man forte (Yamamoto era uscito di scena a causa di suoi problemi personali con le multinazionali del disco), i Gardeners affilano il suono e mettono insieme dodici pezzi dalla portata immensa, con pochi riscontri nel rock alternativo dei loro contemporanei.
“Rusty Cage” parte a spron battuto portando con sé la disillusione di “Outshined” (battutissima su Mtv all’ epoca) e le constatazioni amare della lunga “Slaves&Bulldozers”. Il pathos guadagna terreno in un susseguirsi di emozioni contrastanti (su tutte “Room a Thousand Years Wide”), storie personali forti di un’enfasi prolungata che contribuiscono ad amalgamare momenti anche musicalmente distanti fra loro, dalla sommessa contemplazione di “Mind Riot” alla grinta pura di “Searching with my Good Eye Closed” (che aprirà i concerti del loro tour in supporto all’album). L’ausilio senza prezzo della voce di Cornell (e dici poco!) e la sciolta padronanza degli ormai consueti fraseggi chitarristici di Thayil tengono le redini di un disco che invero continua a basarsi su accordature inusuali (solo in una canzone viene mantenuta tradizionale) e tempi dispari (“Face Pollution”), in barba a coloro che all’epoca miravano al “Seattle Sound” dietro al compromesso di un addolcimento (o peggio:di una standardizzazione forzata) del loro suono originario. Ed è con “Jesus Christ Pose” che vorrei chiudere il cerchio, cioè con la canzone che meglio esemplifica questa fase dei Soundgarden, con i suoi urli e il suo riff fratturato (da elicottero, come disse Thayil), con il suo non essere nè metal nè punk (ma neppure grunge), con le sue polemiche (ridicole) per il soggetto scelto, con il suo orgoglio di non appartenere a nessuna parrocchia: solo uno sfogo, un disagio. Se mi passate il consiglio, con i tempi che corrono rispolverate questo disco: allora si parlava tanto di Black album dell’ Heavy Metal (Metallica), Badmotorfinger quindi deve essere per diritto il White album (altra definizione dello stesso Thayil), con il suo modo innovativo di intendere un genere musicale trasponendolo su di un’ideale tavolozza dalle mille possibili sfumature. In un certo senso il post-metal, nella sua accezione più letterale, è partito proprio da qui. Miliare.