Areknamés – Love Hate Round Trip

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Quando si ascolta un album come ‘Love hate round trip’ degli italiani Areknames, il secondo su Black Widow, tornano in mente tutte quelle discussioni tra appassionati: cosa sia prog e cosa non lo sia, se l’ Italia sia realmente un paese con una rilevanza importante in materia di rock progressivo e se nel 2006 abbia ancora senso dedicarsi a questo genere, che a detta di molti in più di un momento ha mostrato il fianco dell’età. Le risposte e le soluzioni a questi enigmi giungono in modo semplice e chiaro dopo l’ascolto di questo album. Come sempre, le perle destinate a rimanere si nascondono nell’ underground, e gli Areknames lo sanno fin troppo bene, scegliendo un suono sotterraneo tipico di bands come i misteriosi Bram Stoker e lontanissimo dai trends insideouttiani, combinando riferimenti ai maestri del dark prog, ovvero i Van Der Graaf Generator, arrivando addirittura a tributare in scaletta una band oscura quanto favolosa come i leggendari Gnidrolog, attraverso l’ interpretazione della loro “Snails”. Parlando del disco, ‘Love hate round trip’ è senza mezze parole la consacrazione definitiva del rock progressivo italiano attuale, l’esempio da mettere davanti a tutti i detrattori e gli scettici per valorizzare definitivamente l’idea che il rock progressive oggi stia vivendo una condizione artistica di assoluto rispetto. Soprattutto in Italia. Metti su il disco, e scopri quei suoni che tempo fa ti hanno tenuto incollato alla poltrona, mentre i sensi si lasciavano cullare da organi, mellotron, voci evocative, chitarre a formare atmosfere del tutto affascinanti. Gli Areknames sono maestri nel saper proporre quella magia guardando però al presente, una abile formula che non rinnega nulla del passato ma che tiene i piedi ben saldi nell’oggi. A dimostrazione del fatto che il rock progressivo, quando fatto e mosso da input artistici, è un genere senza tempo. A disposizione degli Areknames tutto l’arsenale progressivo che è d’obbligo quando si ha in testa un capolavoro da regalare al pubblico; perché questo album è veramente un capolavoro straordinario, figlio soprattutto del talento di Michele Epifani, mente, compositore nonchè tastierista del gruppo, protagonista assoluto con quei gloriosi suoni analogici figli del passato. Epifani si dimostra musicista di classe e profondo conoscitore del rock progressivo, soprattutto nei modi in cui il nostro assembla e tesse le sue composizioni, nel modo in cui decide di lasciar spazio ora ai suoi synth o alle chitarre, o ancora quando è il momento di sfociare in autentiche esplosioni di rock progressivo. Gli amanti del prog tastieristico avranno di che godere nell’ascoltare e nello scoprire il grande lavoro di questo bravissimo musicista. Riconosciuti i meriti infiniti di Epifani, sarebbe oltremodo delittuoso non menzionare il bel lavoro di Stefano Colombi, alle prese con una chitarra scura, tagliente, per lunghi tratti lugubre (si ascolti lo straordinario riff quasi sabbathiano di “The skeletal landscape of the world”, brano d’ apertura del disco) immersa sapientemente in un perfetto clima dark prog; così come peccheremmo di leggerezza nel dimenticarsi il puntuale lavoro in fase ritmica del batterista Simone Antonini e del bassista Piero Ranali. Lo avrete capito: ogni singola nota è al suo posto, ogni singola progressione assolutamente azzeccata e mai fine a sé stessa. Come si conviene ad ogni capolavoro di rock progressivo, l’opera va ascoltata, vissuta nel suo insieme. Risulta quindi penalizzante individuare singoli episodi per raccontarvi al meglio il disco, ma detto questo ci terrei a confidarvi che non posso fare a meno di ascoltare per almeno due volte di seguito quel bellissimo brano che è “Ignis Fatuus”. Concludo con un infinito applauso alla Black Widow, che ci permette di arrivare a queste opere e a queste bands. Grazie Black Widow! Grazie Areknames!