- Autori di un bellissimo album come “Re>>enter”, i romani Fonderia si confermano tra i principali collettivi jazz prog italiani e non solo. Attraverso ricordi, bilanci e consigli, la Fonderia si è raccontata in questa intervista. Buona lettura!
Samuele Boschelli:Ciao ragazzi! Prima di tutto complimenti per il nuovo disco. Come seconda cosa vi chiedo di chiarire ai lettori di Rocklab il progetto Fonderia. Chi siete, cosa suonate, da dove venite…
risponde Federico Nespola, batterista:In origine era il trio: Emanuele Bultrini alla chitarra, Stefano Vicarelli al piano, synth e varia strumentazione analogica “vintage”, e il sottoscritto Federico Nespola alla batteria.
Ognuno di noi ha seguito un proprio percorso partecipando a situazioni musicali diverse tra loro per il genere proposto, finchè nel 1994 abbiamo deciso di riunirci e tentare insieme l’avventura della “pura improvvisazione”. Lunghe session in studio dove non si stabiliva il punto di partenza, né la direzione. Unico requisito: l’attenzione al processo creativo con totale libertà individuale d’espressione purchè coerente con ciò che si stava creando. Tuttora il concetto di “pura improvvisazione” è ancora alla base del nostro modo di comporre.
Nel 2001 abbiamo arricchito le nostre tre dimensioni con l’ingresso nel gruppo del trombettista, e occasionalmente bassista, Luca Pietropaoli proveniente da ambiti più propriamente jazzistici. Nel 2003 ha iniziato a collaborare con noi il quinto elemento: Claudio Mosconi al basso, anche lui proveniente dal circuito romano, inserito tra rock d’autore e di ricerca.
Nel corso del tempo hanno collaborato con noi musicisti vari più o meno noti, ma equamente importanti per il contributo da loro portato.- SB:4 anni separano il vostro lavoro d’esordio da “Re>>enter”. Come mai così tanto tempo?
- risponde Stefano Vicarelli, piano e synth:Questo tempo ci è servito per raccogliere nuove idee, svilupparle e capire quale direzione prendere dopo il buon successo del primo disco. Il nostro processo di registrazione e missaggio è lungo perché ci piace curare i particolari del suono, le sovraincisioni. Non riusciamo a fare le cose in fretta, abbiamo bisogno di ragionare bene sull’evoluzione dei brani, sulle loro atmosfere.
- SB:Volete raccontarci com’è nato e come si è evoluto il progetto per questo vostro ultimo disco?
- risponde Luca Pietropaoli, tromba: Le nostre incisioni seguono un processo ormai a noi chiaro: si parte dalle improvvisazioni che, da materiale grezzo quali esse sono, si raffinano e si sintetizzano nel corso delle loro riproposizioni successive. In questa fase, importanza rilevante riveste la dimensione live dove le emozioni che si instaurano tra di noi e con il pubblico ci forniscono preziose informazioni per dirigere l’ulteriore sviluppo dei pezzi. La registrazione arriva a coronamento di questo sviluppo, quasi a cristallizzare ciò che si è formato. Questo modo di procedere è stato seguito per entrambi i nostri dischi. La peculiarità di quest’ultimo è che la sua creazione ha visto coinvolti fin dall’inizio la formazione al completo, quindi ben cinque teste pensanti, con un evidente arricchimento delle idee artistiche.
- SB:Siete soliti omaggiare in musica alcuni luoghi della vostra città, riuscendo peraltro a trasportare l’ascoltatore in questi luoghi, quantomeno mentalmente. Mi riferisco a brani come “Trastevere” o “P.za Vittorio”. Da dove nasce questa esigenza?
risponde Emanuele Bultrini, chitarrista:Il nostro approccio alla musica è certamente sognante ed evocativo per alcuni versi, ma anche molto concreto per altri. Cioè cerchiamo di immettere nei nostri brani anche il riflesso della nostra vita quotidiana, dei luoghi in cui ci muoviamo e delle sensazioni che ci danno. Perciò vivendo a Roma da sempre, è assolutamente spontaneo far riferimento alla nostra città. E poi la dimensione del viaggio, dello spostamento, che sia reale o immaginario, è fondamentale nella nostra ispirazione.
- SB:Cosa vi aspettate da un disco come “Re>>enter”, sia in termini di vendite che di obiettivi artistici?
- risponde Emanuele Bultrini, chitarrista:Dal punto di vista artistico siamo già soddisfatti di aver portato a termine un lavoro che rispecchia al 100% le nostre intenzioni. Poi ovviamente staremo a vedere il responso del pubblico e della critica, anche se le prime reazioni sono state molto buone. In quanto alle vendite siamo ottimisti, anche se siamo consapevoli che il momento non è dei più favorevoli, data la drammatica crisi dei dischi che si sta verificando in tutto il mondo.
Per questo album abbiamo intrapreso una direzione ben precisa, cercando di combinare l’attitudine sperimentale, che ci caratterizza da sempre, ad suono diretto e di impatto che sia comunque molto comunicativo, e ci auguriamo che il pubblico recepisca e apprezzi questa attitudine. - SB:Vorrei sapere in che modo, generalmente, componete i vostri brani..
- risponde Stefano Vicarelli, piano, synth:I nostri brani nascono tutti dall’improvvisazione, ogni nostra sessione di prove viene registrata. Individuiamo tutti gli spunti che riteniamo interessanti, li strutturiamo e li arrangiamo e può capitare di proporli dal vivo ancor prima di essere pubblicati. Questo ci serve per metter a punto l’energia del brano, ma anche come “test” di gradimento…
- SB:Spaziate spesso dal jazz al prog, dal funk alla world music. Quali sono le vostre maggiori influenze e che tipi di esperienze artistiche avete portato nel progetto Fonderia?
- risponde Luca Pietropaoli, tromba:Vediamo un po’ di “visualizzare” questa domanda. C’è un contenitore, in questo caso la Fonderia, in cui ognuno di noi arriva e contribuisce con il proprio bagaglio personale, fornendo una quota all’insieme. Visto da vicino, però, posso individuare alcune particolarità. Anzitutto il risultato non è uguale alla somma delle parti: il modo di interagire tra di noi diventa quasi inconscio, la propria esperienza artistica funziona piuttosto come matrice ispiratrice ma le forme canoniche si dissolvono e sublimano in un sincretismo che è soprattutto umano.
L’altra particolarità è una diretta conseguenza di questa: alla fine è la Fonderia stessa a diventare la nostra maggiore influenza. - SB:8. Il vostro nome ricorre spesso tra gli appassionati di progressive. Vi sentite a vostro agio con la definizione “Progressive”?
- risponde Stefano Vicarelli, piano, synth:Bisogna capire cosa si intende esattamente per “Progressive”. Se ci ci si riferisce al progressive dei primi anni settanta, alla scena britannica, mi riferisco a gruppi come Genesis, Yes, ecc. allora direi che non ci sentiamo affatto a nostro agio.
Sappiamo bene che la nostra musica è stata apprezzata e seguita molto soprattutto attraverso questo canale e ci ha fatto molto piacere perché il pubblico “progressivo” è attento e con una buona cultura musicale. Credo che nel nostro caso la definizione “progressive” sia adatta se consideriamo il nostro approccio improvvisativo alla composizione ma soprattutto al momento live. Ogni nostro concerto non è mai uguale all’altro perché ci lasciamo influenzare dalle emozioni della serata, dalla risposta del pubblico. I nostri brani possono andare in tutt’altra direzione rispetto alla versione incisa nel disco. - SB:Siete coinvolti in altri progetti/gruppi musicali?
risponde Stefano Vicarelli, piano, synth: Dal 2001 sono coinvolto in due progetti di musica elettronica di Gianni Rosace, l’inventore dell’Half Die Festival, qui a Roma. Collaboro come turnista/arrangiatore/sintesi del suono per gli artisti che registrano presso il nostro studio di registrazione XLStudio
risponde Emanuele Bultrini, chitarrista:Io faccio parte come chitarrista del gruppo tango-jazz Projecto Heleda. Inoltre ho altri progetti, come il gruppo Antilla, basati su mie composizioni sia cantate che strumentali, che però al momento ho dovuto mettere un po’ da parte per mancanza di tempo, ma ho intenzione di riprendere a lavorarci in futuro
- SB:5 dischi da isola deserta?
- risponde Emanule Bultrini, chitarrista:Cinque sono davvero pochi… e poi le preferenze, almeno per quanto mi riguarda, variano anche molto a seconda dei periodi. Comunque direi che al momento una scelta potrebbe essere questa (in ordine sparso):
1. MILES DAVIS: IN A SILENT WAY (1969); generalmente si fa risalire a questo disco la nascita del jazz elettrico, ma a mio parere fu molto di più. L’inizio della più ardita e innovativa sperimentazione di Miles, capace di mettere insieme il funk e il rock di fine anni 60 con l’improvvisazione free, l’avanguardia e la psichedelia.
2. ROKIA TRAORE’: BOWMBOI (2003); una grande voce dal Mali; musica africana dai suoni tradizionali ma modernissima nella concezione e nell’approccio compositivo.
3. MATERIAL: HALLUCINATION ENGINE (1994); uno dei capolavori di Bill Laswell. La contaminazione dei suoni e dei generi al suo meglio.
4. ANI DIFRANCO: TO THE TEETH (1999); Ani Difranco, con una personalità sopra le righe, ha rinnovato profondamente il modo di scrivere canzoni, mescolando folk, funk, punk e jazz, ma allo stesso tempo ha saputo riportarlo al suo significato originario, il semplice, perfetto connubio tra suoni e parole.
5. NILS PETTER MOLVAER: KHMER (1997); Molvaer ha ripreso la lezione della generazione precedente (Jan Garbarek, Terje Rypdal) che aveva trovato una geniale “via scandinava” al jazz, ma l’ha portata ancora oltre, tuffandosi nell’elettronica, il tutto con una sensibilità unica.risponde Federico Nespola, batterista: Ciò che può trasmettere un brano musicale è qualcosa di strettamente personale in quanto la musica è un potente veicolo per evocare e trasmettere stati interni, emotivi.
Nella mia isola deserta mi farebbero compagnia:
1.FONDERIA: FONDERIA
2.FONDERIA: RE-ENTER
3.PINK FLOYD: UMMAGUMMA
4.BRIANO ENO E HAROLD BUDD:AMBIENT II – THE PLATEUAUX OF MIRROR
5.APHEX TWIN: SELECTED AMBIENT WORKS VOL.2
Ho voluto portare con me i due lavori della Fonderia, perchè realmente sono tra i cd che ascolto più e che, al di là della mia personale partecipazione, mi suscitano emozioni intensamente piacevoli, mi fanno stare bene.risponde Luca Pietropaoli, tromba:
1. Chet Baker – “She Was Too Good To Me” (1974)
2. Ludwig van Beethoven – “Sinfonia n.9 in Re Minore, Op. 125” (1824)
3. Jon Hassell – “Fourth World vol 2: Dream Theory in Malaya” (1981)
4. Bugge Wesseltoft – “Moving” (2001)
5. Brian Eno and David Byrne – “My Life in the Bush of Ghosts” (1981) - SB:Vorrei sapere dove è possibile vedervi live nei prossimi mesi.
- risponde Federico Nespola, Batterista: Abbiamo in programma diverse date in tutta Italia, la maggior parte ancora da confermare. Consiglio di tenere d’occhio il nostro sito www.fonderia.biz e soprattutto chiedere di essere iscritti alla nostra newsletter, inviando la richiesta alla casella mail@fonderia.biz, per essere tempestivamente aggiornati sulle nostre attività!