Moonchild: Bestialità umana.

Moonchild, Milano “Teatro Manzoni” 3 Dicembre 2006 ore 11 di mattina. Erano mesi che aspettavo questo concerto senza sapere esattamente a che cosa avrei assistito ma con la sensazione che sarebbe stata una cosa veramente bella e eccezionale. Perché? John Zorn che propone live il suo progetto Moonchild dove come interpreti ci sono Mike Patton, Trevor Dunn e Joey Baron mi sembrano buoni, anzi ottimi motivi. Moonchild è un progetto complesso che interseca composizioni precise di Zorn con momenti di interpretazione libera dei musicisti questi ultimi però sono limitati dal conteggio delle battute. E’ intriso di una materia oscura e primordiale dove la musica è uno spirito guida verso luoghi demoniaci della mente, è l’uomo che si libera della sua umanità per diventare bestia. A rendere surreale la situazione c’è l’orario mattutino assolutamente anomalo, si chiama “aperitivo in musica” (si… a Milano fanno l’aperitivo pre-pranzo non solo pre-cena) e un pò sembra che l’intenzione sia quella di creare disturbi allo stomaco per non farti pranzare. Entrando nel teatro si nota subito che nonostante l’orario il concerto è sold out e si notano anche coloro che al teatro ci sono venuti perché abbonati. Scopro immediatamente di avere il posto esattamente dietro la postazione mixer e un pò dentro di me bestemmio perché son bassina e rischio di non vedere niente se quelli al mixer non si sederanno. Preso posto e spente le luci si inizia e il primo a comparire è John Zorn: pantalone mimetico arancione e saluti sbracciati al pubblico, poi letteralmente salta giù dal palco e si posiziona al mixer …esattamente davanti a me! Però gentilmente chiede se non crea disturbo (e chi gli dice niente!?). Subito dopo salgono sul palco armati di spartiti (o simil spartiti nel caso di Patton) i musicisti che ci mettono poco a iniziare il loro concerto: “Hellfire” fa capire subito di che tipo di show si tratta. Concerto impuntato su Patton intensamente preso in un misto tra teatro e vocalità, Baron preciso e volutamente contro tendenza con il basso di Dunn ma nell'insieme piantano delle rocce sonore sul palco. E i primi signori di una certa età abbonati al teatro lasciano (ma non in molti, anzi). Zorn al mixer a modificare ad hoc gli effetti voce (non troppi ma efficaci) e intento anche a mixare gli strumenti si dimostra impeccabile e oserei indispensabile poiché la complessità della composizione richiedeva precisione e il suo lavoro ha permesso ai musicisti di essere liberi dai “particolari” effettistici, soprattutto Patton che dal secondo pezzo in poi non sarà più in questa dimensione terrestre. L’ultimo suo gesto “reale” è stato quando ha chiesto di abbassare le spie che lo mandavano leggermente in feedback poi è entrato in un mondo demoniaco di suoni e acuti precisi e spettrali, dove era totalmente preso tanto che persino la maglia che indossava era pari a una camicia di forza e andava gettata lontana, dove un demone isterico si impossessava del suo corpo e della sua voce …un misto tra teatralità e vocalità estreme rimanendo ancorato al testo di Zorn e poi esplodendo in modo esasperato alla libertà concessagli nell’improvvisazione. Uno spettacolo unico, intenso e da brividi: suoni precisi e agghiaccianti contornati da urla prima lontane che poi si avvicinano per aumentare di potenza e diventano acuti mortali, in interiora metaforiche che fuoriescono dalla gola in innumerevoli onomatopee ora intrise di cattiveria, ora di umanità triste e disperata. La base di questa struggente e demoniaca performance sono la musica creata da una sezione ritmica che diventa melodica nel senso estremo del termine che anche nel loro assolo a due mostrano una tecnica e una bravura da applausi e riuscire a emergere e a farsi notare con un Patton così fuori misura non è poco. Infatti, risalito sul palco,qest'ultimo inizia la sua cavalcata infernale denudandosi, sudando, ansimando, sputando, gettandosi sul pubblico della prima fila (delle signore incaute) con una cattiveria mai immaginata, stupendo tutti (compreso John Zorn) e bruciando energia a non finire. Non è uno show improvvisato: la mimica e quell’estremizzazzione fisica dei movimenti è vitale per ripetere l’opera di Zorn. Come spiegava bene Demetrio Stratos la mimica facciale e fisica è importante per riprodurre alcuni suoni soprattutto quelli atipici per il canto melodico e in quel teatro alle 11 di mattina ne abbiamo avuto la conferma in termini estremi. Di per sé il concerto è stato breve ma intensissimo soprattutto nella performance di Patton che pare aver esaurito ogni minima energia corporea ma non finisce con i pezzi dei Moonchild , bensì con il bis come solista dove mischia una vocalità estrema con la teatralità passando da toni bassissimi ad acuti eccezionali, suoni gutturali e piu’ gentili o ironici, dal riso al pianto, un solo instancabile e preciso nell’interpretazione degli spartiti che aveva davanti… A show finito non si crede a cio’ che si è visto, si esce un po’ sconvolti, rabbrividendo con gaudio.