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E’ proprio tra gli ultimi botti, di un 2006 debbo dire ottimo, che si fa largo questo esordio di Yugen dal titolo ‘Labirinto d’acqua’. Un esordio che nasconde comunque personaggi navigati come il leader e chitarrista Francesco Zago, dai notevoli trascorsi sinfonici coi Nightwatch e più in generale da una folta e prestigiosa line up, che tra gli altri comprende Tommaso Leddi degli Stormy Six e Dave Kerman, grande batterista di casa Cuneiform del quale vado a ricordare le performance con i superbi Thinking Plague. Yugen propone una musica altamente complessa ed assai intricata, figlia prediletta del Rock in Opposition più articolato e cerebrale, che contrappone fiati a cervellotiche trame di violino, sottolineati da rintocchi di glockenspiel su basi jazz rock d’alta scuola. Avrete capito dunque che non stiamo parlando di rock sinfonico, ma bensì di qualcosa di ben più difficile e volutamente ricercato, da collocare nelle file più estreme che la storia del progressive rock ricordi.
Passiamo al disco. Echi crimsoniani, sussulti Zeuhl, addirittura suggestioni Zappiane mettono in mostra una coesione strumentale di grande effetto e dall’impatto spesso devastante. Sono le note al pianoforte di “Severe reprimende” ad aprire i giochi, ben presto sostituite dai primi, folli incastri di “Catacresi5”, splendido collage multicolore che alterna anche chiaroscuri affascinanti, momenti incredibilmente ricercati a lievi concessioni melodiche. Uno dei momenti chiave del disco è rappresentato dalla complessità formale di “Corale Metallurgico”, composizione sbilanciata pesantemente sulla ricerca ossessiva di una linea melodica che non c’è, quindi pensate ad un brano pregno di stop and go, continui rilasci destrutturati e intricati fraseggi, direi splendidamente sovrarrangiati. Sulla stessa linea stilistica si adagia la bizzarra “Brachilogia 7”, nella quale risaltano alcuni interventi di violino in pieno crimson style. Il solito breve intermezzo ci separa dal momento forse più alto dell’intera opera. Mi riferisco agli oltre nove minuti di “Quando la morte mi colse nel sonno”, eccellenti per ampiezza progressiva, per citazione colta, per la capacità di farci ancora sognare attraverso mellotron incantati che preludono ad esplosioni che questa volta si concedono a melodie superbe. Questi i momenti che ho preferito di un disco che non solo va dritto in vetta alle cose più gradite dell’anno appena concluso, ma va ad aggiungere un altro importante tassello nella storia del rock progressivo italiano, ponendosi tra l’altro come imprescindibile punto di riferimento contemporaneo. Da prendere a scatola chiusa.